Dopo il sisma FONDI SPRECATI GLI ESEMPI DA NON SEGUIRE
Impossibile stabilire se la morìa delle seppie avesse a che fare con il terremoto. Sappiamo però con certezza che a metà degli anni Duemila si tentò di ripopolare di cefalopodi lo specchio di mare antistante il Molise grazie alla scala Richter. Per le seppie dell’Adriatico fu un benefico effetto collaterale del sisma che sconvolse nel 2002 San Giuliano di Puglia con i suoi 27 bambini sepolti sotto le macerie della scuola. Governava a Campobasso Michele Iorio, che ebbe un’idea geniale: usare il terremoto per distribuire un bel po’ di quattrini alla sua Regione. Ecco allora spuntare nell’ordinanza commissariale un articoletto, il numero 15: «Programma pluriennale di interventi per la ripresa produttiva del Molise». E il rubinetto si aprì. Duecentocinquantamila euro per il ripopolamento delle seppie, novantamila per le api, 450 mila per un museo naturalistico, 425 mila per un centro di equitazione: da sommare ovviamente agli 800 mila destinati ai «sentieri di ippovia e ippoterapia». Briciole su briciole, per iniziative indimenticabili quali il programma televisivo «On the road da inserire nel palinsesto di Italia1 e avente ad oggetto il territorio della Regione Molise». Stanziamento: 144 mila euro. Briciole a Campobasso. Ma anche briciole a Isernia, provincia fuori dal cratere, però non dal collegio elettorale di Iorio. Briciole ovunque. Ce ne vollero tante di briciole, per arrivare al totale: 454 milioni di fondi pubblici.
Bricioline tipo quelle di Pollicino e intere fette di pane. Come gli 8 milioni evaporati in una nave che avrebbe dovuto portare i turisti da Termoli alla Croazia.
Oppure i 5 stanziati per la fabbrica di automobili DR Motor Company: fabbricava piccoli suv con motori cinesi. Anna Falchi faceva la réclame in televisione. Ma la crisi dell’auto non l’ha risparmiata e ora gran parte dello stabilimento è occupato dai cinesi: non fanno motori, vendono merce a basso costo. Che evidentemente rende molto di più .
I soldi per lo sviluppo del Molise
Una briciolina da quasi 300 mila euro venne impegnata anche per finanziare un piccolo impianto a biomasse. Iniziativa del futuro consigliere regionale Paolo Di Laura Frattura. Cui il destino avrebbe dato in sorte la poltrona di Iorio. I dati parlano chiaro: quei 454 milioni hanno offerto nessun contributo allo sviluppo del Molise. E sono la prova che in questo Paese, quando ci sono di mezzo i soldi pubblici, la storia non insegna mai niente.
L’idea balzana che una catastrofe possa rappresentare l’occasione per far decollare un’economia che non ha alcun rapporto con la vocazione di un territorio nacque dal terremoto dell’Irpinia. Dove la follia dilagò, insieme a un fiume di 10 miliardi di euro attuali. Andatele a vedere, quelle aree industriali che hanno rubato terreni fertilissimi all’agricoltura coprendole di cemento con costi che lievitarono, accertò la Corte dei conti, fino a 27 volte il preventivo iniziale. Fabbriche di tutto, perfino un cantiere navale in montagna. Le imprese che avevano intascato tutti quei soldi, quasi tutte del Nord, sono fallite o scomparse. Oggi è il deserto. Sono invece pieni i fascicoli dei magistrati, che hanno appurato come rivoli enormi di quel fiume di denaro finivano nelle tasche di affaristi senza scrupoli. Ben 146 concessioni industriali vennero revocate. Il 48,5 per cento di tutte.
Grovigli di tubi (costosi) in Abruzzo
Di quella esperienza si dovrebbe fare tesoro. Mai più un terremoto dev’essere usato come pretesto per far scorrere senza alcun senso quattrini pubblici con l’inganno dello sviluppo che non ci sarà. Per non parlare degli enormi affari che genera di solito l’emergenza. A L’Aquila sono state spese decine di milioni per l’affitto dei ponteggi per puntellare le facciate. Caso vuole che si paghi un tanto a snodo, per l’esattezza 25 euro. E capita ancora oggi di scorgere palazzi pericolanti avvolti da grovigli di tubi innocenti con gli snodi dorati così numerosi che è impossibile contarli. Ci sono situazioni in cui la ricostruzione costa meno del puntellamento. Più il ponteggio dura, però, più soldi corrono: è il vero affare. Eppure poco prima c’erano state alcune esperienze illuminanti in Molise. Dove il commissariato aveva speso 5 milioni e mezzo per puntellare alcune chiese. Più tre milioni dell’affitto dei tubi, durato due anni, in attesa dell’inizio dei lavori. Più 570 mila euro per la rimozione dei tubi. Più 900 mila euro perché le imprese impegnate nella ricostruzione non avevano accettato la proposta di comprare i tubi restanti e la spesa era rimasta sulle spalle del commissario. Totale: dieci milioni meno spicci.
L’Irpinia e l’allargamento del cratere
Ma il capolavoro che fa arrivare i denari davvero dovunque è l’allargamento del cratere. Il terremoto dell’Irpinia aveva distrutto 37 paesi colpendone 339? Ben presto il cratere fu esteso a 643 comuni, che poi diventarono 687, compresi 14 in Puglia. Il cratere del sisma molisano interessava 14 territori comunali, ma con un’ordinanza di Iorio venne esteso a 83 municipi: tutti quelli della provincia di Campobasso tranne uno. Si trattava di Guardiaregia: il sindaco, poco furbo, non aveva denunciato danni. Il Comune di Campochiaro, a 70 chilometri dall’epicentro, dichiarò invece leggere lesioni al campanile della chiesa: 11 milioni.
Di questo non hanno bisogno Amatrice e gli altri centri duramente colpiti dal terremoto. Serve soltanto una ricostruzione fatta bene e velocemente, senza sprechi che offendano una popolazione dignitosa. Il vero sviluppo non è altro che questo.
Sergio Rizzo
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