“La morte di Regeni doveva sembrare un incidente Lo decise Al Sisi”
«QUANDO Al Sisi ha saputo della morte di Giulio ha convocato il ministro degli Esteri e le alte gerarchie miliari e hanno deciso di dire che Regeni era morto in un incidente d’auto». È il cuore della testimonianza di Omar Afifi in onda oggi nella prima puntata del programma Presa Diretta di Riccardo Iacona dedicata al caso Regeni. Al centro dell’intervista di Giulia Bosetti, l’uomo dei servizi egiziani che — come già ricostruito da Repubblica — aveva accusato il governo di Al Sisi dell’assassinio con un esposto anonimo arrivato in procura a Roma.
«Ho lavorato per 20 anni al Dipartimento investigativo criminale del ministero dell’Interno », dice Afifi. «Ma dopo aver assistito alle torture fatte dagli apparati di sicurezza ho deciso di andarmene». Afifi racconta però di avere ancora fonti. Che gli avrebbero raccontato cosa è accaduto a Giulio. «È stato arrestato il 25 gennaio da poliziotti in borghese che sospettavano che fosse una spia straniera e volevano sapere per chi lavorava. È stato poi portato al commissariato di Giza — continua nell’intervista che andrà oggi in onda — dove hanno cercato di ottenere da lui delle informazioni ». L’ordine dell’arresto sarebbe partito dal «Dipartimento investigativo, diretto da Mohammed Sharawy e Khaled Shalabi», quest’ultimo poi a capo dell’inchiesta sull’omicidio di Giulio. Lo stesso che parlerà nell’immediatezza dei fatti di un omicidio stradale.
«Sicuramente — dice però Afifi — il ministro dell’Interno era a conoscenza di tutto, perché nessuno può fare nulla che non sia stato ordinato dal Ministro ». L’ex militare parla di una tortura in tre fasi, entrando anche nei particolari, raccontandone però alcuni che non combaciano con quanto accertato dall’autopsia disposta dalla procura di Roma.
«Quando Al Sisi ha saputo della morte di Giulio, ha convocato il ministro degli Esteri e le alte gerarchie miliari e hanno deciso di dire che Regeni era morto in un incidente d’auto». La procura di Roma ha però sulla sua scrivania da qualche mese un’altra ricostruzione rispetto a quella di Afifi — in qualche modo speculare, ma più precisa in alcuni dettagli e che offre una diversa ricostruzione della guerra interna tra gli apparati, recapitata da un anonimo assai informato alla nostra ambasciata a Berna. Repubblica ne ha verificato l’attendibilità e i genitori hanno chiesto che arrivino riscontri ma dal Cairo, a oggi, si sono rifiutati di offrire elementi utili.
«Purtroppo — ha ripetuto Paola, la mamma di Giulio — abbiamo avuto troppi depistaggi. A Bruxelles ho parlato con davanti funzionari dell’ambasciata egiziana che avevano il ghigno — aggiunge Paola — Ecco perché chiedo al nostro governo che il nuovo ambasciatore Cantini non scenda al Cairo. Non dobbiamo dare questa immagine distensiva, perché è prioritario l’atteggiamento reale dell’Egitto nell’aiutarci a trovare la verità per Giulio. Stiamo aspettando tante risposte dall’Egitto, quindi mandare adesso l’ambasciatore, potrebbe essere male interpretato. Noi pensiamo serva una pressione molto forte. Non sentiamo nessuno del governo dal sette luglio: noi vogliamo fare un appello alla coerenza!». Il riferimento è al caso del senatore di Ala, Lucio Barani, che in Egitto ha detto di sapere che «Renzi sa dell’innocenza del governo egiziano ». «Chi sono i veri interlocutori, addetti o autorizzati a parlare con l’Egitto? Che sia chiaro perché la comunicazione è una cosa importante».
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