by Orsola Casagrande, Rapporto sui Diritti Globali 2014 | 6 Agosto 2016 18:05
Intervista a Vicent Partal a cura di Orsola Casagrande per il Rapporto sui Diritti Globali 2014
Per Vicent Partal, direttore del quotidiano digitale catalano “VilaWeb”, il momento politico che sta attraversando la Catalogna è un po’ come la realizzazione di un sogno: come dice il titolo del suo ultimo libro, la nazione è ormai a un palmo dall’indipendenza. C’è una data fissata per il referendum, 9 novembre 2014, e ci sono soprattutto migliaia di persone che stanno lavorando per rendere quel referendum qualcosa di storico. La strada è tutta in salita perché, com’era prevedibile, il governo centrale di Madrid ha escluso qualunque dialogo e qualunque mediazione per far sì che la Catalogna arrivi, se la maggioranza dei suoi cittadini deciderà così, a una indipendenza “concordata”, come per esempio nel caso della Scozia. Ma i catalani non si perdono d’animo, sostiene Partal, e fanno della partecipazione cittadina lo strumento principale della loro lotta.
Redazione Diritti Globali: Dopo l’annuncio, da parte del Parlamento catalano, della data del referendum, hai detto che i catalani sono non più a un palmo ma a un dito dall’indipendenza.
Vicent Partal: Mi spingo oltre: direi che ormai siamo a un’unghia dall’indipendenza. Ho sempre detto che nel momento in cui avremmo indicato data del referendum e quesito da stampare sulla scheda, l’atteggiamento nei nostri confronti della comunità internazionale sarebbe cambiato. Così è stato. Nessuno, a livello internazionale, ci ha posto veti. Solo lo Stato spagnolo. Ma questo ce lo aspettavamo. Noi a questo punto non abbiamo fretta, continuiamo per la nostra strada. Lo Stato spagnolo invece continua nella sua chiusura totale. Va detto, però, che ha giocato le carte che aveva. Prima – il 24 marzo 2014 – con la sentenza della Corte costituzionale che ha respinto all’unanimità la dichiarazione di sovranità approvata dal Parlamento catalano il 23 gennaio 2013. E poi – l’8 aprile 2014 – con il Congresso spagnolo che ha chiuso la porta a qualunque possibilità di accettare un referendum sul futuro della Catalogna. Ma noi, ripeto, non abbiamo fretta e continuiamo a lavorare per arrivare al referendum.
RDG: Hai detto che la decisione della Corte costituzionale sulla dichiarazione di sovranità catalana è inutile. Perché ?
VP: Perché la dichiarazione approvata dal Parlamento catalano nel gennaio 2013 si situa già fuori del quadro legale spagnolo. In realtà, questa sentenza è più una dichiarazione, un messaggio alla comunità internazionale, dove però la Corte spagnola non ha giurisdizione. Quando un Paese, una comunità umana, si dichiara “oggetto legale e politico sovrano”, quello che sta dicendo è che non riconosce nessuna sovranità superiore alla sua. E se seguiamo questo schema di ragionamento dobbiamo aggiungere che “sovrano” è una parola chiarissima nella legislazione internazionale, non ha nessun mistero. Allora quando l’indipendenza della Catalogna sarà proclamata, se non ci sarà accordo con lo Stato spagnolo, saranno gli altri Stati che ci sono nel mondo, a decidere se la Catalogna è uno stato indipendente o no.
Mi stupisco sempre quando la gente, fuori dalla Catalogna, mi chiede se davvero avremo il coraggio di rompere con la Spagna. La mia risposta è che l’abbiamo già fatto. La Dichiarazione di sovranità e per il diritto a decidere del popolo di Catalogna è stato questo: rompere con lo Stato spagnolo. Il Parlamento catalano ha sancito chiaramente in quel momento che il popolo catalano ha, per questioni di legittimità democratica, sovranità politica e legale. E questo ha cambiato le regole del gioco.
La dichiarazione di sovranità era indispensabile perché nessuno Stato si può proclamare indipendente se prima non si proclama sovrano. Perché sovranità non è sinonimo di indipendenza. La sovranità è il presupposto, la prima pietra, se vogliamo dirla in questo modo, dell’indipendenza.
RDG: Poi è arrivato il dibattito al Congresso spagnolo. Nessuno si aspettava molto, ma almeno la disponibilità al dialogo.
VP: Mi sono chiesto, dopo il dibattito al congresso, perché sia così difficile parlare con i rappresentanti dello Stato spagnolo. Non c’è alcuna empatia, non hanno alcuna intenzione né evidentemente alcun interesse a discutere. Per loro la pluralità di idee è inesistente, o meglio inaccettabile. Pertanto non riescono a vedere le opportunità storiche che hanno davanti agli occhi. L’ottusità, poi, è ancor più evidente se consideriamo che il congresso ha chiuso anche qualsiasi possibilità di apertura e dialogo rispetto a una terza via. Il presidente Mariano Rajoy non ha lasciato aperto nemmeno uno spiraglio. Ha semplicemente sbattuto la porta in faccia a milioni di cittadini. Nei fatti ha detto loro: non potete fare il referendum né proporre l’indipendenza perché noi non vi autorizziamo. Obbedire e zitti. È chiaro che i catalani né obbediranno né staranno zitti.
RDG: Il processo verso l’indipendenza ha senza dubbio subito una forte accelerazione a partire dal 2010, da quando cioè la Corte costituzionale ha promulgato la sentenza che modifica lo statuto d’autonomia che la Catalogna aveva votato.
VP: La sentenza del 28 giugno 2010 è stata nei fatti un vero e proprio golpe giuridico. La reazione è stata immediata. I cittadini si sono organizzati, battendo sul tempo anche i partiti favorevoli all’indipendenza. In breve tempo si sono svolti referendum auto-organizzati dalla popolazione nei quali ha votato un milione di persone in tutta la Catalogna. Questa risposta ha creato un’unità tra gli indipendentisti che è sfociata nelle due manifestazioni della diada 2012 e poi della diada 2013, con la via catalana, entrambe dimostrazione di una straordinaria autorganizzazione dei cittadini.
È importante sottolineare che una buona parte del movimento catalano è diretto dai cittadini stessi, che hanno trovato il loro referente nella Assemblea Nazionale Catalana che è anche uno spazio di discussione in cui decidere che Stato vogliamo.
RDG: Si fa un gran parlare della posizione che prenderà rispetto all’indipendenza l’imprenditoria catalana. Che cosa pensi ?
VP: Non mi interessa molto. Alla fine votano i cittadini, non le imprese. Per cui i grandi imprenditori catalani hanno un voto come qualunque altro cittadino. Inoltre, va detto che nel mondo dell’impresa si sono alzate poche voci contrarie. Se non altro, mi sembra che gli imprenditori catalani abbiano preferito mantenere un atteggiamento di cautela.
RDG: In parte questo è stato anche l’atteggiamento della comunità internazionale.
VP: Sì. Del resto non si può chiedere agli altri Stati di pronunciarsi prima che l’indipendenza sia una realtà. Però è vero, per esempio, che Rajoy ha parlato di questo con a fianco il presidente americano Barack Obama o quello francese François Hollande, e nessuno dei due gli ha dato ragione. Entrambi hanno preferito il silenzio. Mi sembra invece interessante il dibattito che c’è sulla stampa internazionale e tra la stessa opinione pubblica. L’immagine oggettivamente di grande impatto della Via Catalana [la catena umana di 480 chilometri realizzata l’11 settembre 2013, la diada, il giorno della Catalogna, ndr] ha certamente influito nel conquistarci molte simpatie. Credo che non sarà troppo complicato ottenere il riconoscimento dell’indipendenza catalana a livello internazionale, dando per scontato che non ci sia accordo con lo Stato spagnolo. Può darsi che qualche Stato non la riconosca per questioni di amicizia con la Spagna, ma non sarà un dramma. L’“Economist”, per esempio, sostiene che ci vorrà un periodo di cinque anni per far considerare “normale” la presenza della Catalogna nell’Unione Europea.
La cosa paradossale è che lo Stato spagnolo non ha saputo sfruttare l’arma che aveva fin dall’inizio, cioè quella di accettare e anzi convocare esso stesso il referendum in maniera affrettata. Tutti sappiamo che il rischio che vincesse il no, in tali condizioni, sarebbe stato abbastanza grande.
RDG: Si parla molto di referendum e della diatriba con lo Stato spagnolo, però credi che si parli abbastanza di come dovrà essere il nuovo Stato catalano ?
VP: Credo che il futuro della Catalogna si deciderà subito dopo il referendum e la proclamazione d’indipendenza. Perché dovremmo cominciare a lavorare sulla Costituzione. A me piacerebbe che fosse una carta semplice, facile da riformare, cioè il contrario di quella spagnola. Ci sono due cose importanti, che dovremmo discutere. La prima, sulla quale non mi fanno molto caso, è pretendere che il movimento cittadino, l’Assemblea Nazionale Catalana, non si dissolva il giorno dell’indipendenza. Dovrebbe resistere, a mio avviso, almeno fino all’approvazione della Costituzione.
Secondo punto: a me piacerebbe che la Costituzione avesse in sé strumenti, attrezzi, di democrazia partecipativa molto chiari. Ad esempio, mi piacerebbe che il voto per approvare la Carta costituzionale non si limitasse a un sì o un no, come in Spagna, ma che a margine si potessero votare, separatamente, le dieci questioni più importanti che la nuova Repubblica si troverà a dibattere fin da subito. Voglio dire, mi piacerebbe poter votare e dire se voglio far parte dell’Unione Europea oppure no. O, ancora, se voglio centrali nucleari sul mio territorio oppure no. E, infine, che modello di educazione voglio.
La democrazia spagnola è molto poco europea, è davvero di basso livello. Per questo credo che la Repubblica catalana non può e non deve “spagnolizzarsi”: fondamentale sarà creare una Repubblica che abbia come fulcro una reale e ampia partecipazione cittadina.
Uno dei punti chiave della nuova Repubblica dovrà essere l’educazione. Il modello scolastico in Catalogna è sempre stato molto apprezzato. Oggi purtroppo la crisi ha imposto dei tagli anche molto seri all’educazione e questo processo deve essere invertito.
Un Paese moderno non può funzionare senza un buon sistema educativo, che deve avere due caratteristiche fondamentali: deve essere pubblico e deve essere uno strumento di creazione di valori. Viviamo in un’epoca molto complicata, e la scuola deve avere un ruolo importante anche nella promozione dei valori.
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