Il gran rifiuto tedesco
Un ex-funzionario della Deutsche Bank, Eric Ben-Artzi, ha rifiutato la sua parte del compenso offerto dalla Sec, l’organismo che dovrebbe vigilare sulla Borsa statunitense, come premio per aver rivelato alle autorità, insieme ad altri, le irregolarità cui egli stava assistendo negli uffici dell’istituto tedesco.
L’impiegato aveva una formazione matematica di alto livello ed era addetto al controllo del rischio di mercato della banca, un mestiere che vede l’utilizzo di molti scienziati per il calcolo di complessi modelli econometrici; può essere curioso ricordare che eccellono in questa specialità i matematici ed informatici russi e, nello stesso tempo, sottolineare come tali competenze potrebbero essere meglio utilizzate in compiti più utili per il genere umano.
Bisogna anche ricordare che dal 2011 la Security and Exchange Commission (Sec) fornisce un compenso oscillante tra il 10% e il 30% delle multe comminate alle imprese a chi la aiuta nello scoprire i comportamenti irregolari praticati dalle stesse.
Dunque, i dirigenti responsabili della banca avevano, diversi anni fa, gonfiato il portafoglio dei derivati presenti nel loro bilancio, migliorando così i risultati. Il rifiuto da parte di Ben-Artzi di ritirare il compenso, che sarebbe ammontato a circa 8,5 milioni di dollari, fa riferimento al fatto che la Sec aveva multato per 55 milioni di dollari la banca, quindi gli azionisti e indirettamente i dipendenti e non invece i dirigenti responsabili. Il funzionario, che pure avrebbe avuto bisogno di quel denaro (dopo il suo licenziamento dalla Deutsche Bank, le porte di Wall Street si sono chiuse per lui, come erano a suo tempo state bloccate per il funzionario che aveva rivelato lo scandalo Enron), non se la sentiva di essere in qualche modo complice del misfatto.
Nei numerosi scandali che hanno toccato le grandi banche internazionali dopo la crisi, praticamente in nessun caso importante sono stati condannati per le malefatte accertate i dirigenti responsabili, ma si è invece colpita la banca con multe anche molto pesanti, ogni volta dell’ordine anche di diversi miliardi di dollari. Possiamo a questo proposito ricordare che solo Henry Madoff e qualche altro piccolo personaggio senza peso economico e politico hanno dovuto subire le ire della giustizia statunitense.
Anzi, nel caso specifico della Deutsche Bank, come rivela lo stesso Ben-Artzi in una sua lettera al Financial Times, i tre dirigenti responsabili dei misfatti, incredibilmente, o avevano lavorato alla Sec prima del fatto o sono stati assunti dalla stessa in pendenza di giudizio sulla questione. Inoltre essi hanno lasciato a suo tempo la banca incassando bonus multimilionari.
Una seconda e parallela valutazione può riguardare la questione che in molti degli scandali sopra citati è stato riscontrato che i crimini erano stati perpetrati non da una sola, ma da diverse banche, sino ad una decina contemporaneamente, tra di loro coalizzate. Questo ha dato molto spazio nel pensare che, in realtà, il sistema bancario internazionale è per molti versi nient’altro che un’associazione a delinquere, tollerata, se non agevolata, dai regolatori e dai politici di tutto il mondo.
Del resto, la stessa Deutsche Bank ha preso parte ad almeno una di tali azioni criminose in combutta con molti altri istituti, quella relativa alla fissazione “regolata” del Libor, un tasso di interesse calcolato giornalmente sulla piazza di Londra; per questo misfatto l’istituto è stato condannato nel 2015 a pagare 2,5 miliardi di dollari.
Una terza conclusione può fare riferimento al fatto che, al momento dello scoppio della crisi, i politici avevano mostrato di indignarsi del comportamento scandaloso del settore finanziario, promettendo grandi e rapide riforme. Ricordiamo ancora, in proposito, le parole appassionate e piene di rabbia di Sarkozy e anche quelle di Obama. Ma come è noto, ad oggi, delle riforme promesse si è visto relativamente poco, in particolare in Europa.
Un’ultima considerazione ci riguarda più da vicino. Gli scandali ricorrenti a livello internazionale sottolineano che non siamo i soli a seguire delle strade oblique, anche se si tratta di una magra consolazione. I casi delle quattro banche ora in procedura fallimentare, quelli delle due banche venete e degli altri istituti minori di cui abbiamo letto le vicende nell’ultimo periodo, ci fanno pensare che, forse, i nostri sono solo scandali di provincia, arrangiati in casa alla buona e che i grandi giochi si fanno altrove, tra Washington, Londra e Berlino.
Il caso della Deutsche ci ricorda anche che non sono soltanto le banche italiane ad avere dei problemi di bilancio, visto che una buona fetta del sistema finanziario tedesco ha difficoltà a far quadrare i conti. Peraltro c’è una grande differenza tra noi e loro: da loro il sistema industriale gode di buona salute, almeno per il momento.
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