I diritti delle donne. Investire sull’empowerment

by Alice Grecchi, Rapporto sui Diritti Globali 2012) | 27 Agosto 2016 9:37

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(dal Rapporto sui Diritti Globali 2012)

 

Le discriminazioni di genere ricorrono, pur in forme a volte diverse a seconda del contesto, in ogni parte del mondo e impediscono alle donne una piena partecipazione alla vita politica, economica e sociale dei loro Paesi. E la disuguaglianza di genere è uno degli elementi che concorrono a creare situazioni di squilibrio e disuguaglianza sociale. La situazione, a tre anni dal termine temporale fissato per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio è chiara: ancora pochi i progressi fatti per migliorare la condizione femminile nel mondo. Se prendiamo, ad esempio, il tasso di mortalità materna, la riduzione pari al 34% tra il 1990 e il 2008 rimane tuttavia lontana dal traguardo del quinto Obiettivo di Sviluppo del Millennio. Le discriminazioni che le donne in tutto il mondo – Italia inclusa – continuano a subire le condannano a una condizione di povertà. Per questo motivo, eliminare le differenze di genere è il primo passo da compiere per una lotta alla povertà che poggi su solide basi. Ce ne parla Rossana Scaricabarozzi, responsabile del programma diritti delle donne per ActionAid Italia.

 

Redazione Diritti Globali: In che modo il contrastare le condizioni di disuguaglianza che impediscono alle donne di determinare la propria vita può contribuire a promuovere lo sviluppo nelle proprie comunità?

Rossana Scaricabarozzi: Le condizioni di disuguaglianza tra uomini e donne, sia nella sfera pubblica sia in quella privata, sono ostacoli alla piena partecipazione delle donne alla vita politica, economica, sociale e culturale delle loro comunità di appartenenza e limitano le loro possibilità di autodeterminazione. Le discriminazioni di genere ricorrono, pur in forme a volte diverse a seconda del contesto, in ogni parte del mondo, comportando a livello globale un impatto sproporzionato di povertà ed esclusione sociale sulle donne. Vi è dunque uno stretto legame tra disuguaglianze di genere e povertà, per questo ogni intervento volto a uno sviluppo economico e sociale inclusivo e duraturo deve tenere conto delle discriminazioni che limitano le opportunità e le scelte delle donne in tutti gli ambiti della vita, pena il fallimento di politiche, programmi e progetti che mirano a porre fine a ingiustizie e povertà. L’uguaglianza di genere non solo è parte integrante della giustizia sociale, ma è anche imprescindibile allo sviluppo e alla lotta alla povertà. Recenti analisi delle principali organizzazioni internazionali hanno messo in luce quanto l’eliminazione delle discriminazioni di genere porterebbe a risultati positivi in termini di sviluppo oltre a contribuire alla costruzione di una società più giusta e inclusiva. A titolo d’esempio, secondo la Banca Mondiale, rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne di accedere a determinati settori e posizioni, porterebbe in alcuni Paesi a un incremento della produttività lavorativa del 25%. Allo stesso modo, se le donne contadine in Malawi e Ghana avessero parità di accesso rispetto agli uomini a fertilizzanti e altri input agricoli, la produzione di granoturco aumenterebbe di quasi un sesto. È evidente quindi quanto la marginalizzazione delle donne e le discriminazioni di genere oltre a rappresentare un’inaccettabile ingiustizia, siano anche controproducenti alla lotta alla fame e alla povertà nel mondo. Le Nazioni Unite hanno riconosciuto che il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio dipenderà in grande misura dall’empowerment delle donne. In questo senso, secondo la Banca Mondiale saranno indispensabili nei prossimi anni interventi volti a rimuovere le barriere nell’accesso al lavoro retribuito e a promuovere l’empowerment economico delle donne, e a eliminare gli squilibri di potere all’interno della famiglia e della società per dare più voce, rappresentatività e potere alle donne.

 

RDG: Qual è la condizione delle donne nel mondo a meno di tre anni dai target fissati dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio?

RS: Il Rapporto 2011 delle Nazioni Unite sui progressi verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio rivela quanto ancora ci sia da fare nella promozione dell’uguaglianza di genere nel mondo. I progressi a oggi registrati per tutti gli otto obiettivi sembrano infatti escludere sia i più poveri, sia le persone che subiscono discriminazioni per motivi legati a sesso, età, origine e disabilità.

L’ONU riconosce che le sfide principali in questo percorso restano l’empowerment di donne ragazze, la promozione dello sviluppo sostenibile e la protezione delle fasce più vulnerabili della popolazione mondiale dagli effetti devastanti di crisi quali i conflitti, le catastrofi naturali e la volatilità dei prezzi del cibo. La recente crisi globale ha colpito le donne in maniera diversa rispetto agli uomini, in particolare ha avuto impatto negativo sulle donne impiegate nel settore manifatturiero. L’accesso per le donne al lavoro retribuito è inoltre ancora ampiamente ostacolato in almeno metà dei Paesi poveri. Con la lenta ripresa nel 2010 dopo la crisi del 2008-2009 le opportunità di lavoro hanno inoltre interessato le donne in misura minore rispetto agli uomini. Sebbene secondo la Banca Mondiale i progressi in termini di uguaglianza di genere si siano registrati in particolare nel campo dell’istruzione e della salute, alcune sfide permangono anche in questi settori: si rileva ancora difficoltà nell’accesso all’educazione da parte delle fasce più povere della popolazione, di coloro che vivono in zone rurali e delle ragazze. Altra problematica è la salute materna: benché si siano registrati progressi negli ultimi anni, il numero di morti legate alla gravidanza e al parto nei Paesi in via di sviluppo rimane ancora inaccettabilmente alto. Si stima una riduzione pari al 34% tra il 1990 e il 2008 del tasso di mortalità materna e da 440 a 290 morti ogni 100.000, che rimane tuttavia lontano il traguardo del quinto Obiettivo del Millennio, soprattutto per certi regioni del mondo, come l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale.

La maggior parte di queste morti avvengono a causa di emorragie durante o immediatamente dopo il parto e potrebbero essere evitate tramite accesso a cure pre-natali adeguate e la presenza di personale ostetrico con adeguata preparazione. Le disuguaglianze permangono in particolare in termini di rappresentanza politica e di accesso alle opportunità lavorative, oltre al persistente carico del lavoro di cura sulle donne, non riconosciuto nel suo valore economico e sociale e pertanto altamente trascurato da parte delle politiche pubbliche.

 

RDG: Qual è la relazione fra i diritti delle donne alla terra e alle risorse naturali e l’attuale crisi alimentare?

RS: Secondo la FAO, ovunque nel mondo le donne hanno minore accesso alla terra e alle risorse naturali, agli input agricoli, al credito e alla formazione professionale. L’accesso e il controllo della terra sono fattori chiave all’empowerment delle donne: terra è sinonimo di potere economico, sociale e politico, e laddove la terra diventa sempre più scarsa e preziosa, la sicurezza alimentare e le condizioni economiche dei piccoli agricoltori, in gran parte costituiti da donne, è messa a rischio. In molti Paesi le leggi in vigore discriminano le donne negando loro il diritto di possedere ed ereditare la terra, e anche laddove esistono leggi a tutela di tale diritto, spesso prevalgono pratiche consuetudinarie che, di fatto, limitano o negano la possibilità delle donne di gestire la loro terra e favoriscono i familiari uomini. Inoltre, in genere le donne gestiscono appezzamenti di terra di piccole dimensioni e scarsa qualità, che le rende più vulnerabili a fame, siccità e inondazioni.

Le recenti sfide che vedono la corsa alla terra per la produzione di biocarburanti, il fenomeno diffuso del land grabbing e i cambiamenti climatici, hanno un impatto sulla disponibilità della terra a livello globale e inaspriscono le discriminazioni di genere nell’accesso e controllo della terra e delle risorse naturali. Anche la recente crisi dei prezzi agricoli ha colpito le donne più degli uomini, a dimostrazione che vi è una stretta correlazione tra discriminazioni di genere nell’accesso alla terra, fame e povertà: secondo recenti analisi della FAO, gli effetti negativi della crisi dei prezzi hanno interessato in particolare per i nuclei familiari con capofamiglia una donna. Nelle zone rurali i piccoli agricoltori, per la maggior parte costituita da donne, consumano più cibo di quanto riescano a produrne con la terra a loro disposizione e sono quindi costretti ad acquistare prodotti alimentari per far fronte al sostentamento personale e familiare. Le donne, possedendo generalmente meno terra rispetto agli uomini, hanno subito maggiormente l’effetto dell’aumento dei prezzi del cibo. Eppure secondo la FAO l’eliminazione delle discriminazioni di genere in agricoltura porterebbe a risultati positivi in termini di produttività agricola e lotta alla fame. Si stima che se le donne avessero pari accesso alle risorse la produttività agricola nei Paesi in via di sviluppo aumenterebbe fino a 4 punti percentuali e il numero di affamati si ridurrebbe di 100-150 milioni di persone.

 

RDG: Qual è la condizione delle donne in Italia e quali le differenze in positivo o in negativo rispetto ai Paesi del cosiddetto Sud del mondo?

RS: Nonostante le differenze di contesto, anche in Italia permangono discriminazioni di genere che ostacolano la piena partecipazione delle donne sul piano politico, economico e sociale. Alcuni dati aiutano a fotografare la condizione delle donne in Italia: le donne rappresentano il 20% dei nostri parlamentari, circa il 14% dei soggetti di informazione politica ed economica, il 5% delle consigliere di amministrazione nelle società quotate. Inoltre, le donne guadagnano in media il 23% in meno rispetto agli uomini, 4 donne su 10 lasciano il lavoro per occuparsi dei figli, 7 donne su 10 subiscono violenze da parte del proprio partner. Secondo l’indice di equità di genere (GEI) pubblicato dal Social Watch nel marzo 2012, che misura il divario tra donne e uomini in materia di istruzione, di partecipazione economica e di potere politico, l’Italia continua a essere in ritardo rispetto alla media europea. Con un indice di valore pari a 70, di 3 punti sotto la media europea, l’Italia si classifica tra i Paesi con basso GEI, al di sotto di Grecia, Slovenia, Francia, Spagna, Polonia e Romania. L’Italia nella classifica è inoltre superata da molti Paesi del Sud del mondo, tra cui il Rwanda, il Botswana, il Lesotho, le Filippine, la Tailandia e il Kyrgyzstan. Supera il Burundi di un solo punto.

Nel luglio scorso l’ONU ha valutato l’operato dell’Italia nell’attuare la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW), il trattato internazionale più completo in tema di diritti delle donne, adottato dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1979 e ratificato dall’Italia nel 1985. L’ONU ha evidenziato la persistenza di cause strutturali all’origine delle disuguaglianze tra uomini e donne nel nostro Paese riconducibili a stereotipi di genere profondamente radicati e frutto di una società ancora profondamente patriarcale. Tali stereotipi contribuiscono a diffondere l’immagine della donna e dell’uomo in ruoli tradizionali e sono ampiamente diffusi non solo attraverso i mezzi di informazione, ma anche nel linguaggio politico e sono causa culturale delle disuguaglianze di genere in tutti gli ambiti della vita. Non per niente gli stereotipi di genere, insieme alla violenza contro le donne, sono le due maggiori preoccupazioni delle Nazioni Unite circa l’impegno del governo italiano nella protezione dei diritti fondamentali delle donne. Per quanto riguarda la violenza contro le donne, la visita ufficiale in Italia della Special Rapporteur dell’ONU sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo, ha dato ancora più rilievo al problema della violenza nel nostro Paese, evidenziato le proporzioni allarmanti del numero di casi di violenza domestica e l’aumento i casi di femminicidio.

Tra le altre criticità su cui il l’ONU ha concentrato le sue raccomandazioni all’Italia per attuare misure volte alla promozione e tutela dei diritti delle donne, sono relative al lavoro, in particolare il persistere di disparità salariali tra donne e uomini, la segregazione lavorativa delle donne a settori specifici dell’economia, in particolare l’alta presenza delle donne nei settori legati alla cura, e a posizioni gerarchiche inferiori, le scarse misure per la conciliazione vita-lavoro e la redistribuzione del lavoro di cura all’interno del nucleo familiare; alla partecipazione politica e allo scarso uso di misure speciali temporanee per contribuire ad aumentare la presenza di donne all’interno delle cariche pubbliche e politiche; infine la scarsa visibilità, diffusione e conoscenza della CEDAW quale strumento giuridico a tutela dei diritti fondamentali delle donne. Altro aspetto evidenziato tra le principali criticità, e confermato anche dalla Special Rapporteur Rashida Manjoo, le forme multiple di discriminazione e violenza che subiscono le donne migranti e richiedenti asilo, rom e sinte, le donne disabili e le anziane, e il differente accesso ai diritti tra le regioni, in particolare gli svantaggi per le donne del Sud dell’Italia.

 

RDG: A fine 2011, a pochi giorni dalla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, si è tenuta a Bonn la seconda conferenza internazionale sull’Afghanistan. In che modo i diritti delle donne sono stati oggetto dell’incontro?

RS: Il 5 dicembre 2011 la comunità internazionale si è riunita a Bonn per discutere del futuro dell’Afghanistan in vista del ritiro delle truppe internazionali dal Paese, che comporta il graduale passaggio della responsabilità della sicurezza al governo afghano. In questo contesto la società civile afghana, in particolare le associazioni di donne, ha sollevato la necessità di chiedere l’inclusione della tutela dei diritti delle donne tra le priorità del dibattito e la consultazione e partecipazione delle donne nelle discussioni relative al futuro dell’Afghanistan. Le richieste della società civile afghana hanno portato all’inclusione di due suoi rappresentanti, tra cui una donna, nella delegazione ufficiale afghana alla conferenza di Bonn. Nel documento finale della conferenza si è inoltre incluso tra i principi necessari alla riconciliazione e alla costruzione della pace in Afghanistan il rispetto della Costituzione afghana e dei diritti umani e delle donne in particolare. Tuttavia, in generale la società civile teme che questo non sia sufficiente a garantire che i diritti umani saranno considerati parte irrinunciabile della costruzione della pace e della stabilità in Afghanistan nella delicata fase di transizione e nel post-transizione. La società civile ha, infatti, espresso il timore di un disinvestimento della comunità internazionale nella promozione e protezione dei diritti delle donne con il progressivo ritiro delle truppe. Dieci anni dopo l’inizio dell’intervento militare in Afghanistan, giustificato tra le altre cose dalla necessità di porre fine a violazioni sistematiche dei diritti delle donne, oltre al ripristino della democrazia, la condizione delle donne afghane resta una delle sfide principali del Paese. Se alcuni diritti sono sanciti in convenzioni internazionali ratificate dall’Afghanistan e in leggi nazionali, il cammino verso il loro effettivo esercizio appare ancora un lontano traguardo. Le donne afghane temono un peggioramento della loro condizione in seguito a possibili accordi con i gruppi ribelli al fine di prevenire un conflitto interno dopo il ritiro delle truppe internazionali e che questo porti alla rinuncia della tutela e dei loro diritti. Uno scenario del genere non porterebbe di fatto a una pace inclusiva e comprometterebbe nel lungo periodo la stabilità nel Paese.

 

RDG: In che misura i diritti delle donne rappresentano un punto chiave nell’azione di ActionAid?

RS: ActionAid ritiene che ogni intervento volto allo sviluppo delle comunità più povere ed emarginate sarà fallimentare se non saranno indirizzate a eliminare le cause strutturali della povertà e dell’esclusione sociale. In questo senso, gli squilibri di potere, inclusi quelli tra uomini e donne, e le violazioni di diritti sono di particolare rilevanza, in quanto senza porre fine a discriminazioni e ingiustizie non vi saranno risultati sostenibili in termini di sviluppo. Le donne ovunque nel mondo subiscono forme multiple di discriminazione proprio in quanto donne e per questo costituiscono una grande proporzione di persone che vivono in condizione di povertà ed esclusione. ActionAid ritiene quindi che l’eliminazione delle disuguaglianze di genere e la difesa dei diritti delle donne siano parte imprescindibile della lotta alla povertà. Per questo ActionAid mette le donne al centro della sua azione, favorendo la presa di coscienza da parte delle donne di essere titolari di diritti e la loro mobilitazione per rivendicarli, nella convinzione che il persistere di povertà e ingiustizia sia conseguenza di violazioni di diritti umani.

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