«Non è il sisma che uccide»
Il tono è lieve ma le parole sono pesanti come le pietre che riempiono Amatrice. «Non è il terremoto che uccide, sono le opere dell’uomo». Un atto d’accusa preciso, che nella sua omelia il vescovo di Rieti Domenico Pompili indirizza a chi avrebbe dovuto mettere in sicurezza abitazioni e edifici pubblici che sorgono in una zona classificata ad alto rischio sismico e che, invece, non lo ha fatto. Un’accusa che monsignor Pompili pronuncia sotto la grande tensostruttura nella quale, davanti alle più alte cariche dello stato, si tengono i funerali solenni per le vittime provocate dal sisma del 24 agosto nel reatino. 242 su 292, a testimonianza di come Amatrice, Accumuli e tutti gli altri centri colpiti abbiano pagato il prezzo più pesante.
Sono stati gli abitanti di Amatrice a volere a tutti i costi che i funerali si tenessero nel paese scontrandosi per questo con il prefetto di Rieti che aveva indicato, invece, l’aeroporto del capoluogo come luogo per le esequie. Scelta dovuta ai problemi di viabilità per raggiungere il paese e alla previsioni che annunciavano pioggia per oggi. La pioggia c’è stata, ma non ha scoraggiato nessuno. L’enorme tensostruttura di mille metri quadrati nella quale si tiene la cerimonia è stata costruita dagli uomini del Genio che hanno lavorato tutta la notte. Per la gente di Amatrice non si è trattato di un’impuntatura ma di un’ulteriore prova di attaccamento a questa terra, anche per chi è morto.
Le bare sono allineate davanti all’altare. 28, tra le quali quelle bianche di due dei tanti bambini uccisi dal sisma. Ne mancano dieci rispetto al previsto, per la difficoltà incontrate nel trasportarle ad Amatrice. Un Cristo senza croce pende dall’alto appeso a una corda. Sullo sfondo si vedono le macerie, i tetti crollati rovinosamente sulle abitazioni seminando la morte tra chi le abitava. Sono in tantissimi, più di mille, per l’ultimo saluto a un parente o a un amico che adesso non c’è più. Mischiati tra la folla ci sono il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, i presidenti di Camera e Senato Boldrini e Grasso, il premier Renzi, il sindaco di Roma Virginia Raggi, il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. Come già successo ad Ascoli Piceno per le vittime delle Marche, anche qui vengono letti, uno ad uno, tutti i nomi delle vittime, un lungo elenco che si conclude con un applauso. Poi, monsignor Pompili lancia la sua accusa. «I terremoti sono sempre esistiti» ricorda.
«Senza terremoti non esisterebbero le montagne e forse neppure l’uomo e le altre forme di vita. Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo». Le case di sabbia, le finte ristrutturazioni, le speculazioni fatte sulla pelle delle persone. «La domanda ’Dov’è Dio?’ non va posta dopo, ma prima» avverte il vescovo, mettendo l’accento sul fatto che è inutile cercare responsabilità là dove non ci sono, ma intervenire in tempo per evitare le tragedie. E poi, in piena sintonia con le richieste avanzate fin dal primo giorno dalla gente di Amatrice, l’invito a non abbandonare i luoghi in cui si è vissuto fino a oggi. «Disertare questi luoghi,- dice monsignor Pompili, – sarebbe come ucciderli una seconda volta». Parole che concordano pienamente con quanto affermato nei giorni successivi al terremoto dal sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, quando ha detto «non vogliamo quartieri ghetto, o che il paese sia trasportato altrove. Vogliamo restare qui». «Non vi abbandoneremo, neanche quando le telecamere non ci saranno più», promette Matteo Renzi al termine dei funerali
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