by CORRADO ZUNINO, la Repubblica | 29 Agosto 2016 9:13
AMATRICE. La frazione di Cossito è annunciata dall’asfalto che la precede: fenditure profonde come fiumare. La curva dopo, che lascia a lato mandrie di vacche pezzate, apre la vista alle stalle crollate. Le mucche erano fuori, quel mercoledì notte. La strada provinciale porta a bassa andatura dentro lo scheletro del paese, diciannove residenti all’anagrafe, una fila di case squarciate. Ristrutturate da poco sulle mura antiche, e squarciate. I morti accertati, qui, sono stati tre, su diciannove. Moira Mancini, quarantenne originaria di Cornillo Nuovo, altra frazione, e il suo compagno sono rimasti sotto le macerie a Cossito. Il figlio Enrico si è salvato, dormiva dai nonni, a Cornillo.
Già. Cossito frazione di Amatrice era una delle otto località a massimo rischio individuate dal Piano di Protezione civile redatto nel 2012 dagli uffici tecnici del Comune di Amatrice, consegnato alla Regione Lazio e, nei fatti, rimasto un atto formale. Cossito, spiegava il Piano, era a forte rischio idrogeologico per «l’instabilità dei versanti». Aveva già conosciuto frane e smottamenti, in particolare in concomitanza con i tre terremoti avvenuti dal 1979 al 2009 tra Umbria, Marche e Abruzzo. Il paese, poi, poggiava su «un terreno alluvionale sabbioso e limoso depositatosi su formazioni più consolidate». I funzionari del Comune di Amatrice avevano segnalato (al Comune stesso) «la necessità di porre particolare attenzione nell’approvazione di progetti pubblici o privati nell’area, subordinando gli stessi agli esiti di una relazione geotecnica e geologica che garantisca la funzionalità del complesso opere-terreni». Gli squarci nelle case di fresco ristrutturate dicono ora che in questa frazione le consulenze dei geologi non sono arrivate.
È puntuale, terribilmente puntuale, l’avverarsi ad Amatrice e nel suo vasto territorio delle previsioni del Piano di Protezione civile, che poi è un documento di 26 pagine che, perlopiù, si è limitato a registrare episodi critici del passato e a copia- incollare relazioni di organismi più autorevoli (l’Autorità di Bacino, per esempio). Ma ad ogni zona segnalata dal Piano come «a forte rischio» è corrisposto, nel giorno del terremoto di scala 6, un disastro. In alcuni casi mortale.
L’Hotel Roma, edificato nel costone a Nord della città, era presente nelle carte di Protezione civile. Bene, alle 3.36 è venuto giù e ha ucciso i suoi clienti nel sonno. I morti accertati, qui, sono per ora sei, altri tre non si riesce a liberarli dalle travi di cemento che li schiacciano. Quell’albergo, costruito in una posizione malsana, vantava la ricetta originale della pasta alla amatriciana e calamitava migliaia di turisti ogni anno.
Sempre in città, ma questa volta sul costone Sud, il documento di previsione segnalava il cosiddetto Orfanotrofio femminile, «in prossimità della lottizzazione Santarelli». È il convento Don Minozzi che ha ospitato, l’altra notte, Suor Mariana, la religiosa insanguinata diventata una delle foto simbolo della tragedia del terremoto. Lei si è salvata, ma tre consorelle — ignare di vivere e dormire su un costone ad alto rischio sismico — sono rimaste uccise.
Cossito, l’Hotel Roma, il Convento Don Minozzi. Tre aree a rischio conosciute e ufficialmente segnalate con raccomandazioni di interventi rapidi e profondi. Risultato? Dodici morti e altri tre corpi ancora sotto le macerie. E anche dove il sisma non ha ucciso, ha comunque distrutto. A Cornillo Nuovo, l’ultimo paese del Reatino prima della provincia dell’Aquila, le case hanno retto fuori, si sono increpate all’interno e il campanile della chiesa di Sant’Antonio Abate si è frantumato. A Roccapassa i quindici residenti stanno lasciando le abitazioni lesionate. Danni si sono registrati anche in località Casale Bucci Alto, ai Casali della Meta, a Poggio Vitellino, tutte aree individuate come «instabili e pericolose ». Si leggeva nel Piano: «Senza dubbio la tipologia costruttiva (muratura portante in pietrame locale) influenza in maniera determinante la vulnerabilità degli edifici esistenti con potenziali rischi per la popolazione, nei piccoli borghi e nel capoluogo».
Le cattive costruzioni pubbliche e private, i mancati controlli e l’impossibilità di sanzionare i comuni inadempienti sono stati riassunti dal capo della polizia Franco Gabrielli, alla guida della Protezione civile per cinque anni e ieri i visita ai suoi uomini. «I miei anni passati alla Protezione civile — ha detto — sono stati segnati da promesse, aspettative, ipotesi di soluzioni mai realizzate. Ogni terremoto era l’anno zero per ripartire con una cultura delle prevenzione. Invece niente. Mi auguro che questo sia veramente l’anno zero del Paese».
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