In questo mondo rotondo o cooperi o vieni cooperato
Intervista a Ricard Bellera i Kirchhoff, responsabile Internazionale di Comisiones Obreras Catalogna, a cura di Orsola Casagrande (dal Rapporto sui Diritti Globali 2013)
Il vecchio Dipartimento Internazionale di Comisiones Obreras (CCOO) della Catalogna ha cambiato nome. Adesso si chiama Dipartimento Internazionale, Migrazioni e Cooperazione. Un cambio, come spiega qui il suo segretario, che riflette l’intenzione di affrontare in maniera integrata le questioni e le dinamiche legate alla globalizzazione nel suo insieme, con attenzione al dialogo sociale e alla cooperazione, all’area mediterranea così come all’Europa.
REDAZIONE DIRITTI GLOBALI: Come si sviluppa il lavoro del Dipartimento Internazionale e di Cooperazione di Comisiones Obreras?
Ricard Bellera: Nell’ultimo congresso del 14-16 dicembre 2012 Comisiones Obreras Catalogna ha approvato un nuovo progetto per quanto riguarda il settore internazionale. Adesso la segreteria si chiama Internazionale, Migrazioni e Cooperazione. Questo cambio riflette la nostra intenzione di affrontare in maniera integrata le questioni e le dinamiche legate alla globalizzazione nel suo insieme. Possiamo dire che il nostro lavoro si sviluppa su tre assi:
- La sensibilizzazione della nostra organizzazione sulle questioni internazionali e sul dibattito internazionale rispetto a temi quali il lavoro dignitoso, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il tema dell’austerità specialmente in Europa. Il dibattito viene riportato ai nostri affiliati, quadri, organizzazioni attraverso i mezzi di comunicazione che abbiamo: pagina web, pubblicazioni e altro materiale informativo. Quindi uno dei nostri obiettivi è sensibilizzare la nostra struttura rispetto a ciò che accade fuori con un occhio particolare all’Europa.
- È per noi fondamentale accompagnare il dibattito interno sulle questioni internazionali a un nostro dibattito che serva per produrre un’idea e posizioni nostre su queste questioni.
- Altrettanto fondamentale dopo il passaggio dall’esterno all’interno è per noi ritornare fuori, nel senso di portare all’esterno le conclusioni e i contributi del nostro sindacato sulle questioni internazionali. In altre parole, quello che cerchiamo di fare è convertirci in un soggetto della politica internazionale che abbia idee e opinioni proprie e che sia in grado di difendere le sue posizioni all’esterno.
RDG: In che modo voi sindacato regionale svolgete questo lavoro?
Direi soprattutto approfittando di tutte quelle zone e ambiti di contatto dei quali disponiamo a livello internazionale. Si tratta evidentemente di ambiti molto diversi: la Confederazione Sindacale Internazionale, la Confederazione Europea dei Sindacati attraverso i progetti dell’Unione Europea, nei comitati aziendali europei, nei consigli sindacali interregionali, attraverso le federazioni europee.
RDG: Quali sono le reti internazionali che avete sviluppato?
RB: Abbiamo la rete euroregionale, la rete dei “Quattro motori” insieme a Baden-Württemberg (Germania), Lombardia (Italia) e Rodano Alpi (Francia). C’è poi la euroregione Linguadoca-Rossiglione, Midi-Pirenei e Catalogna (Languedoc-Roussillon/Midi-Pyrénées/Comunidad Autónoma de Catalunya). In queste reti abbiamo consigli sindacali e lavoriamo congiuntamente. Naturalmente cerchiamo di ampliare queste reti partecipando a livello di dialogo sociale.
RDG: Quali sono le aree di azione del sindacato?
RB: Lavoriamo per ragioni storiche con la CGIL, che è un po’ il nostro sindacato di riferimento, nel senso che è il sindacato che ha rappresentato un esempio importante alle origini di Comisiones Obreras. Negli anni abbiamo pure sviluppato rapporti con la CISL e la UIL. Abbiamo poi un rapporto molto stretto, anche per questioni geografiche, con la Francia e abbiamo costruito un rapporto abbastanza stretto con la Germania negli ultimi anni, soprattutto perché Baden-Württemberg fa parte dei “Quattro motori”. Ma anche perché ci interessa molto la posizione che occupa il sindacalismo tedesco all’interno del sindacalismo europeo, che è una posizione di centro e consideriamo sia importante rafforzarlo con il contributo del sindacalismo latino in quello che è il dibattito sui modelli sindacali in Europa.
RDG: A livello di azioni e progetti in quali aree operate?
RB: Negli ultimi quattro anni abbiamo lavorato con 16 Paesi differenti in Europa, abbiamo contatti molto diversi perché la nostra vocazione è quella di apprendere, di sensibilizzare la nostra struttura e pertanto per sviluppare un dibattito di qualità, di profondità e diverso è necessario avere il massimo di modelli ed esempi. Perché l’intelligenza sindacale funziona anche attraverso la curiosità, la molteplicità di esperienze e questo fa sì che siamo sempre molto aperti e ricettivi. Per cui lavoriamo con Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Regno Unito, Scozia e Svezia con la quale, per esempio, abbiamo un progetto sull’economia sociale.
In questo momento siamo i rappresentanti della Confederazione nel dibattito sul modello di partecipazione dei lavoratori nei consigli d’amministrazione delle imprese europee. Questo della partecipazione è un nodo che ha sempre diviso la cultura sindacale in Europa, perché in Europa del Nord la responsabilità passava attraverso la cogestione, mentre qui noi abbiamo piuttosto un dialogo arricchente da una prospettiva settoriale sul ruolo della contrattazione collettiva.
Vogliamo partecipare a questi dibattiti perché crediamo che il sindacato debba stare aggiornato e quindi essere forte.
RDG: Il sindacato ha avuto un ruolo indubbio nella cosiddetta Primavera araba. Comisiones Obreras che tipo di lavoro ha in mente per l’area del Mediterraneo?
RB: Tradizionalmente il nostro sguardo e quindi la nostra azione è stata rivolta soprattutto all’America Latina. Però ci siamo resi conto che questo è stato un po’ limite. Attraverso la nostra Fondazione Pau i Solidaritat abbiamo sviluppato progetti molto importanti nel sostegno alla sindacalizzazione e all’unità sindacale in vari Paesi del Centro e Sud America. Ecco: queste esperienze che sono state così arricchenti vorremo ora cercare di traslarle al Mediterraneo. Perché? Perché Barcellona evidentemente è sempre stata una città con una vocazione mediterranea, sia storicamente per il commercio ma anche per lo stesso Processo di Barcellona, che dal 1995 è poi confluito nella creazione dell’Unione per il Mediterraneo e del Segretariato che ha sede qui a Barcellona e che ci pare lavorare un po’ a rilento. Per questo cerchiamo di stimolare, per quello che ci compete, la concretizzazione di uno dei suoi mandati principali che è quello del lavoro per la pacificazione e per il progresso sociale ed economico del Mediterraneo attraverso il dialogo sociale che non è sufficientemente sviluppato.
RDG: Come si traduce in pratica questa vostra intenzione?
RB: Cercando di mettere a disposizione la grande e importante esperienza nell’articolare e rafforzare il dialogo sociale che abbiamo avuto in Centro e Sud America per fare lo stesso nel Mediterraneo. Come è stato in Centro e Sud America, noi in fondo possiamo insegnare cose tecnicamente, però credo che la cittadinanza dell’Egitto, della Tunisia attraverso la cosiddetta Primavera araba ci abbiano dato una lezione di umiltà. La cosa più importante dal punto di vista sindacale è creare la coscienza di classe e mi pare che nei Paesi del Mediterraneo questa coscienza sia ben presente, forse quello che manca sono i meccanismi per poterla articolare e per poter determinare il dibattito pubblico. Oggi si pensa che la Primavera araba sia stata frutto più dei social network che non del movimento operaio organizzato e delle spinte della cittadinanza verso la democrazia. Da dieci anni abbiamo avuto un’esperienza con l’associazione CERID, che ha promosso il dialogo sociale attraverso corsi soprattutto nel Maghreb; l’idea è recuperare questa linea di lavoro con i sindacati del Sud del Mediterraneo. Per questo abbiamo organizzato una conferenza internazionale a febbraio 2013 proprio qui a Barcellona.
Riassumendo, direi che Barcellona ha una vocazione geografica mediterranea e ne ha un’altra, che purtroppo è caduta un po’ in disuso, che è la vocazione sociale in Catalogna per il dialogo sociale. C’era qui la vocazione di fare le cose congiuntamente. La nostra idea è quella di diffondere nel Mediterraneo la cultura del dialogo sociale come elemento di coesione e pacificazione.
RDG: Che rapporti avete con la Grecia?
RB: A dire il vero abbiamo pochi contatti con la Grecia. Il sindacalismo greco è molto differente. Parliamo di quattro modelli sindacali classici e quello greco viene normalmente inserito nel sindacalismo latino, però devo dire che a me non convince questa collocazione. Abbiamo dei contatti attraverso la CGIL. Quello che sì ci interessa, per esempio, è condividere l’eccellente rete che abbiamo costruito nel Nord del Mediterraneo, con la Francia e l’Italia e soprattutto con la Campania. Abbiamo un lavoro molto interessante sui porti, Napoli, Marsiglia, Barcellona, Tangeri, Malta.
RDG: Come vedete il ruolo futuro dei Social Forum?
RB: Credo che il ruolo e la funzione dei Social Forum vadano ridiscussi. In effetti a una riunione preparatoria che si è svolta qui a Barcellona del Forum Mondiale di Tunisi il dibattito ruotava attorno a una questione soprattutto: se quello di Tunisi dovesse essere l’ultimo Forum Sociale. Sarebbe un errore. I movimenti sociali sono molto importanti, anche se sul lungo periodo debbono andare oltre. Anche Comisiones Obreras iniziò come un movimento.Se leggiamo i documenti del 1969 di Comisiones Obreras vediamo che il dibattito riguardava capire fino a che punto organizzarsi avrebbe cambiato la naturalezza e il servizio aperto che si fa alla società essendo un movimento. E parliamo di quarant’anni fa. Noi abbiamo deciso di convertirci in un’organizzazione. La dialettica movimento-organizzazione è sicuramente affascinante, però ci troviamo a discutere di cose già dibattute. Il movimento è l’ispirazione, ma come diceva Antonio Gramsci le idee devono essere organizzate. Credo che questo è quello che sta accadendo in Spagna con i movimenti sociali, sono stati molto importanti in quanto sono stati un catalizzatore sociale perché la gente cominciasse a pensare e a vedere le cose in un altro modo. Sono stati fondamentali per cambiare l’agenda tematica. Però quando si tratta di essere operativi credo che si siano definiti più per quello che non sono che per quello che sono. Credo che oggi manchi un certo grado di organizzazione.
RDG: I tagli hanno condizionato anche la cooperazione internazionale. Come uscire da questa crisi senza tagliare queste relazioni? Come si sviluppa la cooperazione al tempo della crisi?
RB: Io credo che in questo mondo rotondo o cooperi o vieni cooperato. E credo anche che in questo momento non sia chiaro fino a che punto se fino a dieci anni fa parlavamo di fare cooperazione con il Brasile, da qui a dieci anni non sarà il Brasile che farà cooperazione con noi. Qui parliamo di cooperazione trasformatrice. E la cosa buona che ha la cooperazione trasformatrice è che trasforma gli altri, ma il vero obiettivo che ha in sé è la volontà di cambiare te stesso. La cooperazione è qualcosa che rimuove l’oggetto però deve rimuovere anche il soggetto. È un esercizio sindacale di grande profondità che ti costringe a mettere in discussione costantemente i tuoi principi e valori. È una cosa che rigenera e che fa bene. Per questo è fondamentale continuare a farlo. Dedichiamo uno 0,7% delle quote alle politiche di cooperazione. Ma questo non è abbastanza. Perché bisogna pagare persone e fare progetti. I contributi della Generalitat, vale a dire il governo autonomo della Catalogna, e in generale del pubblico si sono molto ridotti.
Credo che l’internazionalismo passi per la cooperazione e per questo è fondamentale che un sindacato abbia una politica di cooperazione e per questo Pau i Solidaritat e il dipartimento internazionale devono continuare a sviluppare questo spirito di cooperazione, che è uno spirito rigenerativo.
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