Pena di morte: 1.685 esecuzioni da inizio 2016, ma prosegue trend per l’abolizione

Pena di morte: 1.685 esecuzioni da inizio 2016, ma prosegue trend per l’abolizione

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ALLO stato d’emergenza si risponde con più stato di diritto. Perché è quando c’è un’emergenza che occorre tenere i nervi saldi e, soprattutto, tenere saldi i principi democratici su cui la nostra società si fonda. È questo il messaggio sotteso al rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo diffuso da “Nessuno tocchi Caino”. La lega internazionale affiliata al Partito radicale, che da anni monitora il ricorso alla pena capitale e conduce campagne per il rispetto dei diritti delle persone private della libertà personale, segnala un’evoluzione nel complesso positiva riguardo alla questione. Ma, in tempi in cui è altissimo l’allarme per la minaccia terroristica e gli Stati si blindano con misure di sicurezza eccezionali, l’associazione mette in guardia su una possibile regressione democratica collegata alle esigenze di repressione.

Tuttavia, nemmeno davanti alla violenza dei terroristi lo Stato deve cedere alla tentazione di mettersi esso stesso nei panni di Caino e di utilizzare la morte come strumento per difendersi. Una lezione che l’Italia conosce bene e ha già sperimentato durante gli anni di piombo nella lotta contro il terrorismo politico interno e negli anni successivi contro la mafia, fenomeni criminali combattuti sempre con i “codici alla mano”.

I numeri. Secondo il rapporto, nei primi sei mesi del 2016 si contano già almeno 1.685 esecuzioni capitali, effettuate in 17 paesi. Il primato va alla Cina, che soltanto nella prima metà dell’anno ha eseguito 1.200 condanne a morte: un dato in linea con quello del 2015, quando le condanne eseguite erano state 2.400. Al secondo posto si colloca invece l’Iran con 209 esecuzioni, a fronte delle almeno 970 del 2015. Segue poi l’Arabia Saudita con 95 esecuzioni in questo primo semestre. Per quanto riguarda il 2015, il rapporto registra almeno 4.040 esecuzioni, a fronte delle almeno 3.576 del 2014. Un aumento significativo che consegue a quello delle esecuzioni in Iran, Pakistan e Arabia Saudita.

Sul fronte opposto, i paesi che hanno deciso di non praticare più la pena capitale sono ora in tutto 160, mentre 104 sono quelli totalmente abolizionisti, 6 quelli abolizionisti per reati meno gravi e 6 quelli che attuano una moratoria. Ci sono inoltre 44 Paesi abolizionisti di fatto che non eseguono condanne da oltre 10 anni o che si sono impegnati a livello internazionale ad abolire la pena di morte.

Anche i paesi che la mantengono sono diminuiti nell’ultimo decennio, ma sono aumentati nel 2016 rispetto all’anno precedente: da 37 a 38. La maggior parte di questi Stati, come segnala “Nessuno tocchi Caino”, sono regimi autoritari o dittature, una coincidenza che sottolinea il legame tra il ricorso alla pena di morte e la scarsa propensione al rispetto di diritti e libertà fondamentali dell’uomo.

In sostanza, a quanto emerge dal rapporto, l’Asia è il continente dove più si pratica la pena di morte: in 12 paesi di questo continente, infatti, è stato eseguito il 98 per cento delle condanne a morte del 2016. L’Europa, invece, sarebbe libera dalle condanne a morte se non fosse per la Bielorussia, che ancora le prevede, e per la Russia, che però rispetta una moratoria delle esecuzioni.

Lotta al terrorismo e pena di morte. Il dato che più allarma, tuttavia, è il nesso tra l’utilizzo della pena di morte e la lotta al terrorismo o al narcotraffico. Nel 2015 sono state almeno 100 le condanne a morte irrogate ed eseguite per reati di stampo terroristico in 12 paesi, tra cui Iraq, Iran, Cina, Somalia, Bangladesh. Ben 713, invece, sono quelle eseguite per reati di droga, di cui il 65 per cento in Iran. Numeri da cui si comprende facilmente come i regimi meno democratici approfittino delle istanze di sicurezza e di difesa sociale per giustificare involuzioni pericolose sul fronte del rispetto dei diritti umani.

Per questo, uno dei prossimi obiettivi di “Nessuno tocchi Caino” è portare a compimento un progetto, già approvato dall’Unione europea, sul contenimento della pena di morte nelle legislazioni antiterrorismo in paesi cruciali come Somalia, Tunisia ed Egitto. Resta poi l’importante appuntamento del prossimo dicembre, quando l’Assemblea generale dell’Onu voterà la sesta risoluzione sulla moratoria universale delle esecuzioni capitali, un’iniziativa fortemente sostenuta dall’Italia e da organizzazioni come quella radicale.

Il problema della Turchia. L’involuzione autoritaria, del resto, è qualcosa che sta accadendo in questi giorni anche in Turchia. Dopo il tentato golpe del 15 luglio, le dichiarazioni rilasciate dal presidente Erdogan riguardo alla possibilità di reintrodurre la pena di morte preoccupano molto l’Unione europea. Anche dall’Italia arriva il monito per la Turchia a non cadere in forme di neo-nazionalismo, in base alle quali il voto di un Parlamento nazionale può da solo far saltare impegni e accordi presi con la comunità internazionale. Senza dimenticare, come ricorda “Nessuno tocchi Caino”, che la pena capitale era stata tolta dalla Costituzione turca nel 2004.

La pena di morte mascherata. Al centro dell’attività di monitoraggio, comunque, non c’è solo il ricorso alla pena capitale. Per quanto riguarda in particolare il nostro paese, la battaglia del Partito radicale si estende da anni anche all’ergastolo ostativo, al regime di carcere duro previsto dall’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario e a tutti quegli automatismi legislativi che impediscono al soggetto detenuto di godere di pene alternative o di sperare in un’uscita anticipata dal carcere. Forme di “pena di morte mascherata”, come le definisce “Nessuno tocchi Caino” riprendendo parole usate da papa Francesco. E proprio per raccontare le storie di questi ergastolani, alla prossima Biennale di Venezia i Radicali presenteranno “Spes contra spem”, un docu-film girato nel penitenziario di Opera, con la regia di Ambrogio Crespi.

L’omaggio a Pannella. La presentazione del rapporto 2016 di “Nessuno tocchi Caino” è stata anche l’occasione per assegnare il tradizionale riconoscimento di “abolizionista dell’anno”, a favore della personalità che si sia più spesa per l’abolizione della pena di morte. Quest’anno, però, il premio è stato dedicato alla memoria di Marco Pannella, il leader radicale scomparso a maggio, e il titolo è diventato “abolizionista del secolo” in onore delle numerose battaglie da lui condotte per l’affermazione delle libertà civili.

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