Le basi italiane sono già in guerra
«L’operazione non ha finora interessato l’Italia né logisticamente né per il sorvolo del territorio nazionale». Con queste parole la ministra della difesa Roberta Pinotti ha garantito ieri al parlamento italiano che la prima ondata di attacchi Usa alle postazioni dell’Isis a Sirte, in Libia, non ha coinvolto l’aeroporto di Sigonella, dove ha sede la Naval air station americana. Ieri, terzo giorno dell’ , l’aviazione americana ha continuato a colpire obiettivi strategici in mano all’Isis nella città portuale libica che dista poco più di 600 chilometri dalle coste siciliane. Secondo fonti militari americane con cui ha parlato il New York Times, gli attacchi sono stati condotti dai jet Harrier e dagli elicotteri Cobra partiti dalla nave della marina Usa Wasp che si trova nel mediterraneo e dai droni armati Reaper decollati da una base in Giordania, non lontano dal confine con l’Arabia Saudita.
Non da Sigonella, dunque, malgrado la base giordana sia lontana in linea d’aria da Sirte oltre 1.850 Km, una distanza superiore a quella massima percorribile dai droni Mq 9 Reaper secondo le informazioni che si possono raccogliere sui siti specializzati. Del resto Sigonella è già stata utilizzata dai droni americani in altre fasi di questa campagna militare libica, in funzioni di intelligence. Secondo l’accordo rivelato a febbraio scorso dal Wall Street Journal, l’Italia ha già dato il via libera all’uso delle basi sul territorio nazionale per il decollo e l’atterraggio dei droni armati. Anche il portavoce militare del governo di Tripoli per la campagna di Sirte contro l’Isis, il generale Mohamed al Ghosari, ieri spiegava che i droni sono «probabilmente partiti da Sigonella».
Se non è già avvenuto – ma è improbabile – è certo però che l’Italia sarà direttamente coinvolta nella logistica dell’attacca aereo a Sirte. Lo ha detto chiaramente la ministra Pinotti in parlamento. «Il governo è pronto a considerare positivamente un eventuale utilizzo delle basi e degli spazi aerei nazionali a supporto dell’operazione», ha spiegato la ministra della difesa. Il suo intervento alla camera dei deputati è rimasto confinato nei pochi minuti della risposta al question time, sollecitata da un deputato siciliano del Pd. Dal governo nessuna informativa completa al parlamento, tanto meno l’ipotesi di un dibattito e un voto sull’escalation di guerra.
Oggi deputati e senatori potranno sapere qualcosa di più solo nell’audizione dei sottosegretari Amendola (esteri) e Rossi (difesa) davanti alle commissioni riunite di camera e senato. Alle otto e trenta del mattino, nell’ultimo giorno di lavori parlamentari: difficile che ci sia il massimo ascolto.
Pinotti ieri ha ricordato che l’operazione Odissea fulminea – destinata nelle intenzioni del Pentagono a durare trenta-quaranta giorni – «si sviluppa in piena coerenza con la risoluzione delle Nazioni unite numero 2259 del 2015 a seguito di una specifica richiesta di supporto formulata dal legittimo governo libico per il contrasto dell’Isis nell’area di Sirte». Una risposta anche alla contrarietà della Federazione russa, che secondo quanto riferito ieri dalla Stampa ha chiesto al governo italiano di non lasciarsi coinvolgere fino a concedere le basi. Ma la decisione è presa e Sigonella sarà sicuramente coinvolta, ammesso che non lo sia già stata nelle prime tre notti di operazioni. E non è detto che lo sia solo per gli aerei senza pilota, dal momento che i piani americani potrebbero prevedere di rischierare nella base più vicina alla Libia anche i caccia «tradizionali», gli F-16. L’Italia è prontissima a rispondere di sì alle richieste del Pentagono, anzi lo ha già fatto «dovesse tale evenienza essere ritenuta funzionale a una più efficace e rapida conclusione dell’azione in corso», ha detto Pinotti.
È questo è quanto, secondo l’esecutivo Renzi. Non è necessario un ulteriore coinvolgimento del parlamento. Tant’è che ieri sera alle nove alla camera è stata approvata una mozione presentata dal Pd che impegna il governo «a continuare a sostenere quanto il governo di accordo nazionale farà per contrastare Daesh, nel solco di quanto previsto dalla risoluzione 2259». L’uso delle basi e il sorvolo dello spazio aereo sono già previsti dagli accordi firmati a Washington alla fine dell’anno scorso, dunque non c’è spazio per il parlamento italiano. Che al massimo, promette il ministro degli esteri, sarà «costantemente informato». Secondo il capogruppo di Sinistra italiana Arturo Scotto, invece «il parlamento è aperto e non può essere scavalcato dalle decisioni del governo. Per combattere e sradicare l’Isis occorre una strategia che non sia solo militare, servono un passaggio parlamentare e un voto formale». Secondo il Movimento 5 Stelle «non dobbiamo farci percepire come nemici in Libia». «Che senso ha ricompattare una serie di fazioni contro il nemico occidentale?» – ha chiesto il deputato M5S Di Stefano: «Secondo noi è una follia».
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