Ristabilire il diritto di proprietà sovrana del popolo sul territorio

Ristabilire il diritto di proprietà sovrana del popolo sul territorio

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Intervista a Paolo Maddalena a cura di Monica Di Sisto e Alberto Zoratti (dal Rapporto sui Diritti Globali 2014)

In un momento storico in cui le leggi del mercato sembra stiano lentamente sostituendo i valori della civiltà giuridica, studiosi e giuristi come Paolo Maddalena provano a tessere nuovamente i fili della storia delle nostre comunità. In un percorso che parte dal Diritto romano per arrivare ai giorni nostri, si chiariscono i termini di parole come “proprietà” privata”, “proprietà collettiva”, “territorio”, “comunità”. E non solo da un punto di vista strettamente etimologico, ma squisitamente politico.

Cosa deve fare oggi una comunità umana davanti a una finanza che estrae valore da ogni cosa, a una tendenza alla mercificazione dell’esistente che rischia di compromettere persino gli equilibri del nostro pianeta? Riprendere in mano l’azione politica, capendo che per rimettere al suo posto un mercato eccessivamente invadente, è necessario ripensare al concetto di proprietà privata e collettiva, e al diritto di un popolo di difendere e tutelare il proprio territorio e le sue risorse dall’assalto della speculazione e del profitto e dal rischio di vedersi privatizzare beni che fino a poco tempo prima si ritenevano fossero collettivi.

 

Redazione Diritti Globali: In un momento storico dove sembra che sia in crisi l’impianto concettuale e valoriale dell’Occidente, con la crisi economica e finanziaria e il suo impatto sociale e ambientale, l’Italia sembra attraversare una situazione ben peggiore: un patrimonio ambientale, artistico e culturale che invece di diventare possibile motore della rinascita, rischia di diventare preda di un privato sempre più affamato di opportunità di profitto o di rendita. Che sta succedendo?

Paolo Maddalena: Credo che come prima cosa sia necessario guardare alla situazione italiana dal punto di vista ambientale per capire quali sono gli effetti sui nostri territori non solo della crisi, ma anche delle politiche che vengono messe in campo per contrastarla.

Se guardiamo al territorio, al modo in cui è gestito e amministrato, notiamo molte criticità e molti elementi negativi: un forte dissesto idrogeologico, che sta peggiorando a causa di eventi meteorologici estremi; un sempre più accelerato consumo di suolo; il progressivo abbandono dei terreni agricoli; la distruzione del paesaggio come conseguenza di politiche scellerate e dell’attribuzione al privato di un vero e proprio “potere di edificare” che viene ormai presentato come un diritto quasi inalienabile.

Un’analisi più approfondita ci permette di capire che si cerca di risolvere la crisi finanziaria con ricette che rischiano di aggravare una realtà già difficile: le privatizzazioni, cioè la politica del togliere a tutti per dare a pochi; le delocalizzazioni delle imprese, che portano a disoccupazione e precariato; la svendita di industrie e imprese strategiche; la svendita e la mercificazione del territorio, il cui più recente esempio è il decreto legislativo 85/2010 sul federalismo demaniale. Sono scelte inidonee, che rischiano di aggravare un sistema già in fase di recessione e di progressiva povertà.

È importante quindi andare a fondo, capire che si tratta di un’evidente rottura del sistema giuridico, relativamente alla questione della proprietà del territorio. Siamo di fronte a un sistema ordinamentale proprietario che privilegia la proprietà privata e trascura la proprietà collettiva. Inoltre, la finanza una volta fattore sostanziale nella creazione di ricchezza attraverso gli investimenti produttivi di beni e servizi, è diventata una debt-economy che raschia la ricchezza dei beni esistenti creando disoccupazione, recessione e miseria.

L’interrogativo che nasce è quindi squisitamente politico: dobbiamo continuare a seguire la tesi neoliberista che si basa sull’idea borghese della forza e della preminenza del denaro, oppure dobbiamo nuovamente affermare la forza del diritto, capace di tutelare diritti e beni comuni?

 

RDG: Stiamo parlando dei fondamenti su cui si basa l’attuale sistema economico e dell’immaginario collettivo che si è venuto a creare negli ultimi anni, caratterizzati da una prevalenza del mercato e dei diritti degli investitori sui diritti sociali e ambientali. Ma com’è possibile, a questo punto, invertire la tendenza?

PM: Il problema vero, oggi, è come riportare il sistema finanziario sotto il sistema giuridico. E questo con particolare riferimento alla salvaguardia del territorio. Il benessere di un popolo dipende da due fattori fondamentali: il lavoro dell’uomo e le risorse che la terra offre. Se si distruggono le risorse, si distrugge il territorio. E con questo il benessere dei popoli.

Esiste quindi un rimedio, ed è quello giuridico che afferma che il territorio è un diritto di proprietà collettiva. La proprietà privata diventa variabile dipendente, e risulta dalla cessione di sovranità del popolo di parti del suo territorio, cessioni che, in determinate situazioni e per ben chiari motivi, il popolo si può riprendere. Prevale quindi il diritto di proprietà sovrana del popolo sul territorio, una caratteristica che affonda le sue radici nella storia.

 

RDG: Esiste quindi una giustificazione storica? Possiamo ritrovare le radici storiche di un nuovo modo di intendere la gestione del territorio e, quindi, il diritto di proprietà?

PM: Esatto. E mi spiego meglio. Quando si costituisce una comunità politica, nascono tre fenomeni giuridici: il popolo, il territorio (che appartiene al popolo) e la sovranità (tra i poteri sovrani del popolo c’è la proprietà collettiva del territorio stesso). Studiando il diritto romano si vede come la proprietà romana, benché sia stata definita da più parti come proprietà individuale, nasce come proprietà comune e collettiva, proprietà del popolo, il quale poi, con una legge, dava la disponibilità dei terreni ai singoli. Quando il re Numa Pompilio volle distribuire parti dell’Ager publicus ai singoli Patres familiarum (mezzo ettaro a testa) ci volle una Lex regia ad avallo di questa “divisio”. Successivamente, in periodo repubblicano la “divisio” fu sempre preceduta da una Lex centuriata o Plebiscitum.

Nel Medioevo, quando la sovranità si sposta dal popolo all’imperatore o al sovrano, rimane un Dominium eminens di quest’ultimo.

La rottura tra territorio e sovranità avviene nel periodo borghese, allorché la proprietà privata diventa inviolabile. Il quadro si ricompone nella nostra Costituzione, soprattutto all’articolo 42 (che si riferisce alla funzione sociale). Nella Costituzione non si parla di diritto inviolabile di proprietà, ma viene più volte evidenziato come sia il popolo che lo riconosce con una sua manifestazione di volontà.

 

RDG: Considerato tutto questo, il diritto di edificare allora a chi appartiene?

PM: Appartiene a chi ha la proprietà del territorio, e il legittimo proprietario ai termini della Costituzione è solo il popolo. Questo significa che davanti al consumo di suolo, a costruzioni illegittime e illegali, come gli abusi edilizi, ma anche a costruzioni legittime che però distruggono il territorio, il popolo ha diritto a intervenire con un’azione popolare. Al diritto di proprietà privata si oppone quindi un diritto più forte, che è la proprietà collettiva del popolo.

 

RDG: È un diritto riconosciuto anche dalla Costituzione?

PM: La nostra Carta costituzionale è un testo estremamente avanzato e innovativo, perché prevede che gli interessi pubblici devono prevalere sempre su quelli privati, come viene sottolineato all’articolo 41. C’è di più, all’articolo 43, si fa chiaro riferimento all’interesse generale rispetto alle fonti di energia e specifiche categorie di imprese collegate ai servizi pubblici essenziali. E si sottolinea il ruolo dei cittadini o delle comunità di utenti. Perché ognuno di noi, come libero cittadino, può agire in difesa del territorio, sia sul piano dell’iniziativa legislativa attraverso referendum, o le leggi di iniziativa popolare; sia sul piano amministrativo, attraverso la partecipazione all’organizzazione politica e sociale del Paese; sia sul piano giudiziario, attraverso l’azione popolare.

E il ruolo dei cittadini oggi è fondamentale, soprattutto perché domina la speculazione finanziaria la quale non crea ricchezza, ma drena quella esistente. L’azione della finanza è contro la Costituzione repubblicana, ma anche contro i trattati internazionali, come la Convenzione sui diritti economici, sociali e culturali. La speculazione finanziaria, e i suoi effetti dannosi, sono il nocciolo della questione, sebbene spesso non siano considerati in politica.

 

RDG: Non è quindi solo una questione di etica, ma anche di difesa del territorio e di sviluppo economico armonico?

PM: Sul libro che ho appena scritto [Il territorio bene comune degli italiani. Donzelli, 2014, ndr] sottolineo proprio questo. È certamente un problema etico, ma soprattutto di civiltà giuridica. E poi c’è una questione economica sostanziale, perché è possibile garantire uno sviluppo armonico solo con un approccio radicalmente diverso, capace di lottare contro la speculazione finanziaria per fare gli interessi del popolo. E tutto ciò passa attraverso l’applicazione della Costituzione, ma anche attraverso l’azione politica, che impedisca le privatizzazioni, che permetta il ritorno e la valorizzazione della terra, lo sviluppo di un turismo rispettoso del territorio e della cultura.

 

RDG: In tutto questo assumono un ruolo importante la politica e il cittadino

PM: Ha un ruolo centrale la politica, che è capace di far valere la Costituzione, la quale parla di sovranità conferita al popolo.

Ma la questione è anche molto locale: un Comune può avere molto potere. I terreni abbandonati o gli immobili dismessi che non esplicano più la loro funzione sociale perdono, secondo l’articolo 42 della Costituzione, la loro tutela giuridica. Nel momento in cui sono stati abbandonati, ad esempio in seguito a delocalizzazioni, possono e devono ritornare alla proprietà collettiva del popolo, e il Comune dovrebbe riprenderlo in mano. Non è un approccio consueto, né una lettura comune oggi come oggi, ma è una lotta da portare avanti comunque, soprattutto sul piano giudiziario.



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