by Monica di Sisto e Alberto Zoratti, Rapporto sui Diritti Globali 2014 | 2 Agosto 2016 19:00
Intervista a Marco Bersani a cura di Monica di Sisto e Alberto Zoratti (dal Rapporto sui Diritti Globali 2014)
Acqua, bene comune. Mai tale concetto fu così sottolineato, ribadito, rilanciato e mai, tale concetto, fu tanto bistrattato come nell’Italia della seconda Repubblica. Come ricorda in quest’intervista Marco Bersani, che ne fu uno dei promotori, un referendum vinto a piene mani, in una delle più alte pagine della storia politica del nostro Paese, surrettiziamente svuotato di significato proprio nel momento in cui i beni comuni, e una risorsa fondamentale come l’acqua, stavano guadagnando cittadinanza in un’opinione pubblica ormai rassegnata alla politica da avanspettacolo.
Ma la vittoria sull’acqua va oltre i confini del Belpaese e supera le Alpi, inserendosi in un movimento molto più ampio di tutela dei beni comuni che sta mobilitando persone e coscienze in mezzo mondo, con l’obiettivo di opporsi a un modello di sviluppo che si riproduce e si consolida a partire da scelte politiche chiare e inequivocabili, come la finanziarizzazione dell’economia o la liberalizzazione dei mercati globali.
Redazione Diritti Globali: Il passaggio 2013-2014 ha segnato alcune tappe importanti nel percorso europeo e italiano verso la ri-pubblicizzazione dell’acqua: ce le puoi descrivere?
Marco Bersani: A livello nazionale, si possono rilevare alcune cose importanti. Da una parte, il disconoscimento dell’esito del vittorioso referendum del 2011 è proseguito a ogni livello, sia attraverso le resistenze a tutti i livelli istituzionali nel perseguire processi di piena ri-pubblicizzazione delle gestioni del servizio idrico integrato, sia attraverso il nuovo metodo tariffario, approvato dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG) che ha fatto uscire “l’adeguata remunerazione del capitale investito” dalla finestra, per farla rientrare dalla porta sotto le mentite spoglie degli “oneri finanziari”.
Dall’altra, va segnalata l’assoluta persistenza del movimento per l’acqua, tuttora presente in tutti i territori e a livello nazionale, e più che mai deciso, non solo a tenere aperta la battaglia per il rispetto della volontà della maggioranza assoluta del popolo italiano, bensì a rilanciare i contenuti della difesa dei beni comuni sul terreno della riappropriazione delle risorse e della ricchezza sociale prodotta nel Paese, attraverso la rivendicazione di una nuova finanza pubblica e sociale.
Oggi, attraverso la trappola del debito pubblico, artificiosamente costruita, il governo annuncia una nuova strategia di privatizzazioni, in particolare legata ai servizi pubblici locali: il tentativo, da prendere assolutamente sul serio, è quello non solo di tergiversare sull’attuazione di quanto stabilito dal referendum, bensì di provare a mettere una pietra tombale su tutto quello che il movimento per l’acqua ha rappresentato.
In buona sostanza, si vuole dire alla società italiana che, se anche fosse vero, come sembra dimostrare il voto referendario, che “privato non è più bello”, è bene che si rassegni al fatto che comunque “privato è obbligatorio e ineluttabile”.
È esattamente contro lo “shock” costruito attorno alla crisi del debito pubblico che oggi bisogna porre un argine, per vincere la rassegnazione e immaginare un nuovo possibile futuro.
RDG: In Italia c’è stato un grandissimo coinvolgimento pubblico sul tema, che ha portato addirittura alla celebrazione e alla vittoria di un referendum popolare: perché, a tuo avviso?
MB: Credo che siano diversi gli elementi che hanno permesso questa esperienza straordinaria. Innanzitutto il tema e le sue intrinseche caratteristiche: l’acqua è una componente essenziale del corpo umano e porta con sé elementi di legame ancestrale con la vita di cui è simbolo stesso, riconosciuto da tutte le culture e le religioni; proprio per la sua co-essenzialità alla vita, appare istintivamente come diritto umano e di tutti gli esseri viventi. La sua mercificazione rende manifesta, più di ogni altra privatizzazione, la sottrazione di diritti e la sudditanza delle persone di fronte ai grandi interessi finanziari.
In secondo luogo, la chiarezza del messaggio e degli obiettivi. Sull’acqua si è costruita una campagna di scopo, che naturalmente alludeva a una più generale riappropriazione di tutti i beni comuni e a un altro modello sociale, ma che, nel suo esplicitarsi, lanciava alcuni messaggi chiari e immediatamente comprensibili: l’acqua è un bene comune e un diritto umano universale, il servizio idrico deve essere gestito senza profitti e con il coinvolgimento diretto delle comunità locali.
In terzo luogo, la pratica inclusiva costruita nel tempo dal movimento per l’acqua, che sin dalla sua nascita, nel 2003, si è posto l’obiettivo di estendere ai massimi livelli tanto la consapevolezza sociale intorno al tema, quanto la partecipazione diretta di tutte le persone. Per fare solo un esempio, l’atto che ha trasformato nel 2006-2007 le decine di vertenze territoriali aperte nel Forum italiano dei movimenti per l’acqua è stato la presentazione della proposta di legge d’iniziativa popolare, sulla quale sono state raccolte oltre 400.000 firme. Quella proposta di legge è stata costruita in oltre sei mesi di tempo, almeno duecento persone hanno materialmente scritto parti del testo e oltre diecimila sono quelle che l’hanno discusso in tutti i territori.
Questo processo, unito alla scelta del metodo del consenso come pratica condivisa, ha consentito alla grande organizzazione sociale, al piccolo comitato territoriale e persino al singolo individuo di sentirsi parte attiva a pieno titolo dell’intera esperienza. La straordinaria vittoria referendaria del 2011 è stata la naturale conseguenza estensiva di questo percorso di protagonismo sociale.
RDG: Dopo la vittoria del referendum, la politica ha reagito con grande forza per ribaltare il risultato in via normativa. Che cosa è successo e a che punto siamo?
MB: Normalmente, in Italia si pensa che i referendum siano dimenticati dalla politica e dalle istituzioni. Questa volta così non è stato. Questa volta, le élites politico-finanziarie si sono talmente stampate sulla fronte l’esito di quel voto, da averlo attaccato con una perseveranza sinora sconosciuta. Non era passato ancora un mese dalla pubblicazione in “Gazzetta Ufficiale” del decreto che riconosceva l’esito del voto, quando l’allora governo Berlusconi ripropose, nell’agosto 2011, una legge sostanzialmente identica, annullata l’anno successivo dalla Corte costituzionale, esattamente con la motivazione che era in diretta violazione dell’esito referendario.
Ma i poteri forti hanno agito a tutti i livelli: sempre nell’agosto 2011, la Commissione Europea inviò l’ormai famosa lettera (leggi diktat) al governo italiano sui passi da intraprendere per uscire dalla crisi; ebbene, il quesito n. 26 di quella lettera chiedeva quali fossero le intenzioni del governo italiano in direzione della privatizzazione del servizio idrico, «malgrado l’esito del voto referendario»!
E ancora: in un Rapporto della Deutsche Bank del dicembre 2011, con in carica il governo Monti, fatto proprio dall’Unione Europea, si sottolineava la necessità di aprire in Italia una nuova stagione di privatizzazioni; e, a proposito del servizio idrico, in cui si ri-caldeggiava l’intervento dei privati, Deutsche Bank così si lamentava: «Tuttavia, per questo c’è l’ostacolo di un referendum».
Tutti i governi sin qui succedutisi hanno, in qualche modo, proseguito nell’azione di disconoscimento del voto referendario e oggi l’attacco avviene attraverso la guerra sporca agli enti locali: strangolati da un patto di stabilità interno, che si è rivelato un patto di destabilizzazione sociale, da continui tagli alla spesa, dalle misure di austerità sul debito, oggi gli enti locali sono posti di fronte al ricatto della privatizzazione.
L’annuncio del governo Renzi di ridurre le società partecipate dai Comuni a non più di 1.000 dalle attuali 8.000, viene chiamata “razionalizzazione” della spesa, ma va letta come “privatizzazione” di tutti i servizi pubblici locali.
Ma la battaglia rimane aperta, sia dentro i territori sia a livello nazionale: a livello locale, attraverso le vertenze per la ri-pubblicizzazione, che hanno aperto spiragli non solo nella città di Napoli (l’unica sinora ad aver realizzato l’esito referendario), bensì in almeno 20 province del Paese; a livello regionale, dove sono avviate leggi d’iniziativa popolare in almeno sei regioni e dove, nel Lazio, abbiamo ottenuto un’importante vittoria con l’approvazione della legge per la ri-pubblicizzazione promossa dai cittadini e dagli enti locali; e a livello parlamentare, dove si è costituito un intergruppo (formato da tutti i deputati di SEL e M5S e diversi deputati PD) che ha ripresentato la legge d’iniziativa popolare del movimento per l’acqua.
RDG: In Europa, oltre al caso di Parigi, cresce la pratica della ri-pubblicizzazione dei servizi idrici?
MB: Il paradosso è che in pieno dispiegamento delle politiche di austerità, ispirate dall’ortodossia monetarista di Bruxelles, i processi di ri-pubblicizzazione del servizio idrico integrato avanzano dappertutto: in Francia, dopo Parigi, sono oltre 40 le medie e grandi città che hanno scelto la strada della gestione pubblica; dato ancor più significativo, perché parliamo dell’unico Paese al mondo che sin dall’origine aveva scelto la privatizzazione, essendo anche la sede delle due principali multinazionali del settore, Suez e Veolia.
A Berlino, un referendum cittadino ha imposto la ri-municipalizzazione, che è stata attuata dalle autorità comunali. Ed è in corso una straordinaria esperienza a Salonicco, dove i cittadini hanno organizzato un referendum cittadino autogestito, che si terrà il mese prossimo, per impedire la privatizzazione dell’acquedotto, voluta dalle feroci misure imposte alla Grecia dalla Troika. In questa scadenza, una delegazione del Forum italiano si recherà appositamente a Salonicco per portare la propria esperienza solidale.
RDG: In Europa una delle prime proposte di legge d’iniziativa popolare (ICE) è stata proprio quella per l’acqua pubblica? Che cosa prevede e quale iter immaginate?
MB: Una delle prime preoccupazioni del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, all’indomani della vittoria referendaria, è stata quella di aprire un fronte europeo della battaglia per l’acqua: per quanto l’Europa non imponga alcun regime di privatizzazione, scelta di assoluta competenza degli Stati membri, risultava evidente come tutte le politiche liberiste e monetariste ispirate dall’UE andassero comunque nella direzione della mercificazione del bene comune acqua.
In questo senso, la proposta promossa dai sindacati europei della funzione pubblica di avviare un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) è stata accolta con molto favore dalla rete europea dell’acqua pubblica.
Anche questa volta si è rivelato un successo: sono state raccolte un milione 800 mila firme (ne erano necessarie un milione) e quella dell’acqua è stata la prima ICE a raggiungere l’obiettivo.
Il primo step successivo si è rivelato, come previsto, deludente: la Commissione Europea si è pronunciata un po’ “all’italiana”, decidendo di non decidere e affermando la propria incompetenza in merito.
Naturalmente, anche a questo livello, la battaglia continua, soprattutto in vista del rinnovo delle istituzioni europee, con le elezioni del prossimo mese.
RDG: E quindi quali sono a questo punto le prossime tappe per i movimenti europei e di quello italiano?
MB: A livello europeo, oltre alla battaglia per l’approvazione dell’ICE, il movimento per l’acqua è direttamente impegnato contro il TTIP (Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti), in corso di avanzata negoziazione tra USA e UE, che rappresenta l’utopia delle multinazionali, in altre parole il tentativo di costruire la più grande area di libero scambio del pianeta.
Quel trattato, fra le diverse nefandezze che propone, minaccia direttamente i beni comuni e i servizi pubblici locali, la cui gestione pubblica potrebbe essere citata in giudizio presso tribunali speciali da qualsiasi multinazionale si sentisse, dalla scelta pubblicistica, in qualche modo deprivata di un profitto reale o anche solo potenziale: un gigantesco attacco alla democrazia, che vedrà il movimento per l’acqua in prima fila.
A livello nazionale, oltre al proseguimento di tutte le vertenze in corso, il movimento per l’acqua sta proponendo a tutti i movimenti per i beni comuni e per i diritti un percorso di costruzione di un’alleanza sociale che metta al centro alcuni obiettivi comuni, capaci di rafforzare ogni singola rivendicazione e nel contempo di costruire un’unità reale: si tratta di un salto di qualità, che consenta ai movimenti di passare dalla resistenza a valle dei processi decisi da altri all’attacco a monte sul tema dei luoghi della decisionalità e della destinazione delle risorse.
Se a ogni rivendicazione relativa ai beni comuni e ai diritti sociali, la risposta delle elites politico-finanziarie è il muro di gomma basato sul mantra «C’è il debito, i soldi non ci sono», occorre che i movimenti mettano in discussione esattamente quel terreno, rivendicando, da una parte, la massima estensione degli spazi di democrazia a qualsiasi livello e, dall’altra, la socializzazione delle risorse disponibili e la loro destinazione verso un altro modello sociale.
O la Borsa o la vita: da citazione romanzesca sulle sventure dei viandanti d’inizio Ottocento quando incappavano per la via in predoni e banditi, è oggi divenuta, con la b maiuscola, la più vera definizione della dimensione sociale del conflitto.
È ora che tutti quelli che hanno scelto la vita, e l’acqua, si uniscano.
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