I treni con più di 20 anni non li fermano. Li mandano al Sud

by Gianluca Coviello, il manifesto | 13 Luglio 2016 8:22

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I veri tagli sono arrivati con il governo Berlusconi che 2010 ridusse le risorse del 50,7%. Da allora dilagano le società degli autobus. Uno dei convogli dell’incidente era del 2004, un lusso per gli standard concessi ai meridionali

BARI Ogni giorno al Sud circolano meno treni che nella sola Lombardia. 1738 corse contro 2300. Eppure, da Roma in giù, sono al servizio del doppio degli abitanti. Al Sud i treni sono più vecchi. L’età media dei convogli è di 20,4 anni, al Nord 16,6. La Sicilia è la quarta Regione in Italia per popolazione con 5 milioni di abitanti. Vi circolano meno di 1/5 dei treni regionali della Lombardia, regione che però ha solo il doppio degli abitanti. Al Nord c’è l’alta velocità (o forse sarebbe meglio dire l’alta voracità visti i costi). Molte linee del Sud viaggiano ancora su binario unico, raggiungendo anche i 250 treni al giorno (come nel tratto in Puglia dove si è verificato ieri il disastroso incidente).

Su 71 progetti programmati nel piano triennale dei trasporti 2017/2020 solo due riguardano il Sud.
L’Italia viaggia a due velocità e non fa nulla per cambiare le cose. I soldi per il Tav ci sono, così come ci sono stati quelli per la nuova tratta Milano-Torino (per essere economicamente conveniente doveva trasportare 400 treni, si arriva circa a 40). Per il Sud no. L’incidente di ieri accende una luce sul dramma di migliaia di pendolari di serie B. I treni protagonisti dell’incidente non erano vecchi. Uno dei due era addirittura del 2004, praticamente nuovo per gli standard concessi ai meridionali. Un treno di lusso. Viaggiava però su un binario unico come troppi da Roma in giù. Una condizione di minorità infrastrutturale che non può essere dimenticata di fronte alle possibili colpe umane celate dietro il disastro.

Treni con più di 20 anni? In Europa li fermano, in Italia li mandano al Sud
In Europa i treni che superano i 20 anni di attività vengono smantellati e sottoposti a un radicale revamping. In Italia vengono mandati al Sud. La cosa è evidente con Trenitalia ma lo è anche sulle linee regionali. I tagli hanno imposto alle società di gestione l’acquisto di mezzi sempre più logori. In Abruzzo ben l’84,7% hanno spento le 20 candeline. Un po’ come accade con i bus urbani delle municipalizzate. Quelli appena elencati sono tutti numeri riportati da Legambiente nel rapporto «Pendolaria 2015» che fotografa lo stato dell’arte delle ferrovie italiane.

Cresce il numero degli utenti ma da Roma in giù si taglia
Il numero delle persone che in Italia viaggia in treno è in crescita: +2,4% nel 2015. Eppure si tagliano i servizi in maniera discriminatoria: da Roma verso Milano nel 2007 i collegamenti Eurostar al giorno erano 17, mentre oggi tra Frecciarossa e Italo sono 63, con un aumento dell’offerta in 8 anni pari al 370%. La situazione è completamente diversa a Napoli per coloro che prendono i treni della ex Circumvesuviana (120 corse al giorno): hanno subìto un calo dell’offerta del 30%. Rispetto al 2009 i passeggeri sono aumentati dell’8%; le risorse statali per il trasporto regionale si sono ridotte di oltre il 20%. Scrive Legambiente: “Da una parte il successo di treni sempre più moderni e veloci – si muovono tra Salerno, Torino e Venezia con una offerta sempre più ampia e articolata e un crescendo di passeggeri ogni giorno su Frecciarossa e Italo – dall’altra la progressiva riduzione dei treni Intercity e dei collegamenti a lunga percorrenza su tutte le altre direttrici nazionali (-22,7% dal 2010 al 2014), dove i tempi di viaggio sono rimasti fermi agli anni Ottanta”.

Dal 2010 tagli indiscriminati: da 6,2 a 4,8 miliardi
Il crollo nei trasferimenti è avvenuto con la finanziaria 2010 e i tagli di Tremonti, quando introdusse una riduzione a regime del 50,7% delle risorse per il servizio. Il Governo Monti a fine 2011 intervenne per coprire una parte del deficit relativo al 2011 e al 2012. Se si confronta il dato attuale con la cifra che sarebbe necessaria per il funzionamento del servizio (parliamo dei servizi di base), ossia quella stanziata fino al 2009, ci si rende conto della radice dei problemi del trasporto pubblico in Italia. Si è passati da 6,2 miliardi di euro per il trasporto su gomma e su ferro ai poco più di 4,8. Per il 2016 le risorse a disposizione sono state di poco superiori: si passa da 4,819 nel 2015 a 4,925 miliardi di euro. Per garantire servizi decenti non bisognerebbe scendere sotto i 6,5 miliardi (rimanendo comunque lontani dalle medie europee).

Quel contratto di servizio per gli Intercity fermo al 2014
Dal 2001 la competenza sul servizio ferroviario pendolare è in mano alle Regioni che definiscono i contratti di servizio con i concessionari. Il Ministero, però, è rimasto responsabile del Contratto di Servizio per i treni a lunga percorrenza non a mercato (gli Intercity, molto frequentati dai pendolari), dal valore di 220 milioni di Euro. Un contratto che è scaduto nel 2014. Non è ancora stato aperto un confronto per capire come rinnovarlo o se mandarlo a gara, per decidere se e dove potenziare. Si continua a procedere per proroghe, senza una visione sul futuro di questi treni, che pure percorrono tratte importanti del Paese, provando a tenerlo unito (su tutte le direttrici Adriatica e Tirrenica).

Il business del trasporto su gomma
Il Sud è diventato in breve tempo territorio di conquista per le società di trasporto su bus. Non avendo alternative i cittadini prendono la corriera rinforzando, inevitabilmente, un sistema potentissimo che sembra impossibile da cambiare. Si sono moltiplicate le società specializzate, mettendo su un business che ha preso il posto del servizio ferroviario. I governi non hanno fatto nulla per invertire la rotta. Evidentemente conviene così.

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