by Simone Pieranni, il manifesto | 31 Luglio 2016 10:29
Secondo fonti militari turche almeno 35 persone appartenenti al Pkk sarebbero state uccise da un raid aereo, dopo un tentativo di attacco ad una base nella provincia sudorientale di Hakkari, al confine con l’Iraq. Poche ore dopo, altri ribelli curdi hanno tentato di assaltare una base militare nella stessa zona. Negli scontri che ne sono conseguiti, sarebbero rimasti feriti almeno 25 soldati.
Tornano dunque gli scontri nel Kurdistan dopo gli eventi che hanno portato al tentato golpe e alla risposta da parte di Erdogan. La Turchia, paese Nato, di comune accordo con gli Usa, ha messo da tempo il Pkk tra le «organizzazioni terroristiche» e benché un anno fa sia stato raggiungo un cessate il fuoco, da tempo nelle regioni sud orientali del paese si è tornati a sparare. Il clima nel paese resta di massima tensione. Ieri un tribunale di Istanbul ha convalidato l’arresto di 17 dei 21 giornalisti turchi fermati dopo che lunedì era stato diramato un mandato di cattura per 42 reporter sospettati di far parte di quello che diventata la giustificazione di tutto da parte di Erdogan, ovvero di appartenere in qualche modo alla «rete» di Fethullah Gulen, accusato da Ankara del fallito golpe.
Le immagini dei reporter in manette, in marcia sotto gli occhi vigili dei poliziotti hanno fatto il giro del mondo. Gli altri 21 per cui è stato chiesto il fermo risultano ancora ricercati. Tra gli arrestati, con l’accusa di «far parte dell’organizzazione terroristica» di Gulen, c’è anche la reporter ed ex deputata Nazli Ilicak, 72 anni. È stato invece rilasciato l’ex responsabile dei contenuti digitali di Hurriyet, Bulent Mumay. E proprio Nazli Ilicak, veterana del mondo giornalistico nazionale e già «firma» riconosciuta e prestigiosa di quotidiani ed emittenti televisive, avrebbe dichiarato di non avere alcun rapporto con i seguaci di Fethullah Gulen; una presa di distanza che non le ha evitato il carcere.
A proposito di arresti: ieri Ankara ha deciso il rilascio di 758 delle 989 reclute militari arrestate in relazione al tentativo di golpe. E per capire che aria tiri nel paese bastino le parole del vice premier – Numan Kurtulmus – secondo il quale, membri dell’organizzazione di Gulen si anniderebbero anche all’interno dell’Akp il partito del presidente.
Un segnale della paranoia e della volontà di fare piazza pulita una volta per tutte da parte del «Sultano atlantico»: sull’eventualità che alcuni gulenisti possano essersi infiltrati nel partito, il vice primo ministro – che a sua volta fa parte dell’Akp – ha dichiarato in un’intervista al quotidiano Hurriyet che «è possibile perché per molti anni ci sono state persone che appartenevano a questa organizzazione e che erano nell’establishment dell’Akp».
«Purtroppo – ha aggiunto – sono stati tollerati. Hanno avuto anche dei ministri». Kurtulmus ha infine annunciato che i gulenisti saranno rimossi dall’Akp come lo sono stati dalle alte sfere dello stato, dalla magistratura all’esercito. Su questo argomento non si è espresso Erdogan, che ieri si è dedicato invece alle critiche che arrivano dal mondo occidentale. L’Unione europea e gli Usa – ha detto il presidente – non devono dare consigli alla Turchia, bensì «occuparsi degli affari loro».
Erdogan ha così commentato con i giornalisti ad Ankara i timori espressi dall’Occidente per le epurazioni che hanno seguito il fallito golpe militare del 15 luglio.
Ieri il ministro dell’interno turco, Efkan Ala, ha annunciato che sono state arrestate 18.044 persone dal fallito colpo di Stato e che per 9.677 di loro è stata confermata la misura del carcere. «Alcune persone ci danno consigli. Dicono che sono preoccupate. Fatevi gli affari vostri! Guardate le vostre azioni», ha affermato Erdogan, citato dai media locali. «Non una singola persona ci ha fatto le condoglianze e poi dicono che Erdogan è così arrabbiato». Il presidente ha inoltre annunciato di aver ritirato le denunce contro «chi mi ha insultato».
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