by Orsola Casagrande y J.M. Arrugaeta, Global Rights 2/2016 | 28 Luglio 2016 9:00
Nato all’Avana nel 1974, Ahmel Echevarría Pere si è laureato in ingegneria meccanica però professa, come dice lui stesso, il mestiere di scrittore. Ha pubblicato cinque libri, il primo una raccolta di racconti, Inventario, a cui sono seguiti due romanzi, Esquirlas e Días de entrenamiento. Questi tre libri compongono quello che Ahmel definisce “ciclo della memoria” perché il narratore-protagonista si chiama Ahmel e cerca di raccontare quello che gli è successo in una tipica famiglia cubana dalla fine del 1958 fino al 2000. A questi titoli si sono aggiunti i romanzi Búfalo camino al matadero e La noria. Una produzione letteraria a cui bisogna aggiungere anche le collaborazioni regolari in riviste e pagine web sia di critica letteraria che di opinione.
Come si passa dall’ingegneria meccanica alla scrittura?
Come riassumere questa storia? Dopo essermi laureato in ingegneria meccanica, durante il periodo che ho dovuto svolgere nel “Servizio Sociale”, incontrai nuovi amici, alcuni di loro scrittori. Il mio “Servizio Sociale” trascorse in una Unità Militare. Nei primi mesi il lavoro non fu particolarmente duro. Poco a poco cominciai a scrivere “piccole cose”: mini-racconti e cose che io chiamavo poesie a quel tempo, finché un amico, Michel Encinosa, oggi traduttore, scrittore e editore, mi raccomandò di frequentare un workshop letterario coordinato dal narratore Jorge Alberto Aguiar. Senza ombra di dubbio questo fu l’incontro con la persona esatta. Cominciò a parlarci di letteratura non solo dal punto di vista delle tecniche narrative. Ci invitò a pensare la letteratura, a comprendere la società in cui viviamo e i vettori che la condizionano, come la politica, l’economia, la cultura. Con il passare del tempo i miei testi si distanziarono dalla mia propria biografia. Cessai di scrivere a partire dalla mia biografia per creare una sorta di biografia estranea, esterna.
Che giudizio dai della letteratura cubana contemporanea?
Hai molti giovani e meno giovani che scrivono. Uomini e donne, eterosessuali e gay, e i temi trattati sono diversi come differenti sono le maniere di affrontarli. Potrei dire che “gode di buona salute”. Tuttavia, al di là del fatto che stia più o meno in buone condizioni, mi interessa il lato “meno sano” di questa letteratura: quegli autori che hanno deciso puntare sul cammino più tortuoso, quello che si distacca dal canone, e che hanno deciso saltare nel vuoto senza paracadute o rete. Mi riferisco ad una scelta in cui non è poco il dolore, il vuoto, il disamore, le sconfitte.
C’è una generazione di scrittori le cui proposte mi sembrano estremamente interessanti. Citando rapidamente e male: Jorge Enrique Lage, Raúl Flores Iriarte, Legna Rodríguez, Osdani Morales, Orlando Luis Pardo o Daniel Díaz Mantilla per quel che riguarda la narrativa. I primi due irradiano la loro letteratura con elementi propri dell’assurdo, mega stelle di Hollywood, noti cantanti internazionali e scrittori riconosciuti a livello internazionali in un contesto tanto reale come l’Avana. Questi mammiferi di lusso deambulano e interagiscono con cubani “normali”, di strada. Lage è assai politico, Raúl per parte sua è più candido. Legna è delirio puro dal linguaggio e dal corpo, apparentemente volgare, Osdani si preoccupa di ordire una trama dove il letterario è un doppio tessuto: trama, struttura, mistero. Daniel è come una bomba a tempo nel salotto di una casa apparentemente piacevole. Orlando Luis Pardo è l’animale politico, mette in gioco le sue storie rischiando tutto nella lingua, linguaggio: nella sua letteratura ha più peso la parola che il conflitto.
Passando alla saggistica potrei nominare Jamila Medina e Gilberto Padilla: Jamila è poetessa e narratrice, la sua prosa è dura e intensa e questo rende doppiamente densa e suggestiva la sua militanza nel saggio. Gilberto si posiziona nel campo opposto e i suoi testi di critica letteraria hanno la leggerezza, il peso e il potere letale di una pallottola d’argento. Per quel che riguarda la poesia citerei Jamila e Legna nuovamente e poi Oscar Cruz, José Ramón Sánchez, Sergio García Zamora e Javier L. Mora… sarebbe un elenco lunghissimo e ancora mancherebbero nomi.
Allo stesso modo in cui parlo di questa infornata di scrittori potrei andare un po’ indietro nel tempo a chi non è più tra i 30 e i 40 e che però ha una proposta letteraria tentatrice. Penso per esempio al narratore Marcial Gala, a Victor Fowler sia come saggista che come poeta, a Alverto Garrandés come narratore, saggista e critico – ha scritto saggi su letteratura e cinema: in questo caso il punto di confluenza dei film che analizza è l’erotismo-sesso. Aggiungerei a questa lista Ricardo Alberto Pérez, Rito Ramón Aroche, Soleida Ríos, Nara Mansur, Antón Arrufat. E qui mi fermo, sapendo di aver lasciato fuori qualcuno.
Stiamo parlando di letteratura cubana contemporanea, però in questo punto della risposta bisognerebbe introdurre la variante dell’opera prodotta da autori cubani fuori del paese, geograficamente parlando. Come giudichi questa produzione, la consideri parte della letteratura cubana attuale?
Senza dubbio, direi di sì. Anche se bisognerebbe tenere in conto l’opinione degli scrittori della diaspora o dell’esilio. E’ importante infatti sapere come si vedono loro, come si concepiscono, se si vedono come parte della letteratura cubana o no. Suppongo che non pochi siano quelli che si vedono parte di essa. Se si guarda attraverso il prisma delle istituzioni dovremmo parlare di linea dura dal punto di vista politico: non tutti gli scrittori cubani che vivono fuori hanno un posto. Il Diccionario de autores cubanos è la prova migliore di quello che sto dicendo.
Dal punto di vista letterario, sociale, culturale e politico credo che mentre uno scrittore decide di mantenere una connessione con quello che chiamano “radici”, ossia la sua famiglia, il suo quartiere, gli amici, il paese, la lingua, la cultura e se in più desidera pensare in maniera critica il futuro del paese, questo scrittore continua ad essere uno scrittore cubano anche se risiede in Islanda. Non vorrei nemmeno considerare superficialmente un altro tipo di scommessa: quella di chi sta agli antipodi di tutta una genealogia nazionale, di chi non vuole farsi intrappolare “dal cubano”. Cuba può essere racchiusa in un racconto anche se in esso non si trovano tracce di palme! Per caso, cessano di essere cubani gli scrittori residenti nell’isola che decidono puntare su un altro immaginario, su altri personaggi?
Avete contatti con questa letteratura cubana che si produce fuori?
Sì, c’è un contatto molte volte personale con questi scrittori cubani. Le reti sociali, l’email, gli inviti a ferie o eventi letterari internazionali sono spazi per il dialogo, lo scambio, la polemica. Quelli che vanno e vengono portano i libri di questi autori che poi circolano di mano in mano e questa è un’altra maniera di stare in contatto. Allo stesso modo i nostri libri escono e circolano tra altri pubblici.
Se diciamo Generación 0, che rispondi?
La critica ha utilizzato questa etichetta per riunire in uno stesso spazio giovani narratori, poeti e saggisti che hanno cominciato a pubblicare nel 2000. Questa è l’origine del nome, il 2000 come anno 0, del nuovo secolo, del nuovo millennio. Questa etichetta è la variazione di un obiettivo e un nome. Prima di essere modificata, infatti, Generación Año Cero era il nome di un gruppo di narratori giovani, non di una generazione, che cercavano di conquistare una posizione nel campo letterario cubano. L’autore intellettuale di questo gruppo è stato Orlando Luis Pardo Lazo. Non tutti gli integranti riuniti in questo nome, tra l’altro, si sentivano in realtà parte del gruppo, però questa è un’altra storia. La cosa importante fu che questo progetto servì a me, Orlando e Jorge Enrique Lage da teatro di operazioni.
In quanto alle caratteristiche generali di questa generazione, quello che la identifica sono la varietà dei temi e le differenti maniere di affrontarli.
Nei tuoi pezzi di critica parli spesso di gruppi e autori che non vivono all’Avana. Allo stesso tempo, molte tue collaborazioni sono pubblicate in riviste che non si editano all’Avana. Difendi un “decentramento” del concetto di letteratura cubana in modo che non si confonda con la sola letteratura havanera?
Il fatto è che ci sono proposte letterarie di alto rigore e rischio pensate fuori della capitale. Posso citare per esempio quello che sta succedendo nell’Oriente di Cuba. Oltre ad essere poeti, Oscar Cruz e José Ramón Sánchez curano la rivista la noria. Invitano a collaborare scrittori cubani che sono loro affini per immaginario, interessi, connessioni culturali. Questa rivista si apre anche al mondo attraverso traduzioni e collaborazioni di autori cubani che vivono fuori del paese e di scrittori stranieri. Un altro esempio è quello di Yunier Riquenes, nato a Granma e residente a Santiago de Cuba. Oltre ad essere un prolifico scrittore per bambini, giovani e adulti, ha un progetto digitale chiamato Claustrofobia che non si limita alla regione ma ha l’ambizione di mostrare al mondo quello che si produce in termini letterari a Cuba.
A Holguín vive il poeta Luis Yuseff che dirige una piccola casa editrice, La Luz, che si è imposta come una delle più importanti del paese. A Villa Clara vivono Anisley Negrín Ruiz e Sergio García Zamora. Anche se vivono all’Avana o fuori di Cuba, di Camagüey è Legna Rodríguez Iglesias (Miami), di Nueva Paz è Osdani Morales (Nueva York), di Holguín è Jamila Medina, di Pinar del Río è Agnieska Hernández. La lista è chiaramente più lunga, ma fermiamoci qui.
Nel tuo caso, tu sei dell’Avana. Come entra la città nella tua letteratura?
L’Avana è il territorio che conosco e da questo dipende il fatto che sia il set principale della maggior parte dei miei libri. Ci sono alcuni miei libri che trascendono lo spazio personale, mi interessa scrivere o inventarmi una biografia esterna, altri set. Con il romanzo Búfalos camino al matadero abbandono il contesto nazionale. Diciamo che “viaggio” negli Stati Uniti. Mi interessava il contesto di vita di un tipo marginale che era stato nella guerra d’Iraq e che torna al suo paese con un piano: entrare a far parte di un piano. Grazie agli scambi con un’amica cubana che viveva a New York e lavorava come assistente sociale, ho potuto conoscere il rigore di questa vita. Ho deciso di esplorare un altro universo perché volevo sconnettermi da un set che poteva risultare una palla al piede. Allo stesso modo in cui uno si allontana, ritorna. Sento che questo romanzo, che non si svolge all’Avana, ha un punto di contatto con questa città, con Cuba. Indubbiamente sì, l’Avana ha un peso in ciò che ho scritto.
Che influenze riconosci nella tua letteratura e formazione?
Per me un’influenza molto forte è Pablo Picasso, soprattutto il suo quadro Le signorine di Avignon. Mi interessano molto le arti visive, da lì il fatto che uno dei miei modelli letterari sia Picasso, per questa maniera di interessarsi a quello che sta succedendo, per preoccuparsi di altri artisti, altre culture e per compiere dopo una sorta di traduzione di quello che lo ha accattivato.
Tra le mie influenze ci sono anche il cinema, la musica e, ovviamente, la letteratura. Ci sono Reinaldo Arenas, Virgilio Piñera, una parte di Cervantes, e tutto, che non è molto, Guillermo Rosales. Ci sono altri autori che citerei, Claudio Magris, Chéjov, Borges y Eco…Come si noterà cerco di costruire o costruirmi una genealogia non solo come punto di partenza, perché da quella genealogia voglio essere compreso. Cerco di propiziare un’opera che non tema di avvicinarsi ad altre letterature, di appropriarsi degli strumenti idonei che mi permettano di collocarmi nel cammino di una opera maestra del futuro… anche se non dovessi realizzarla. Con le mie risorse, le mie capacità e i miei errori, desidero avanzare como avanzano le lancette dell’orologio.
Che rapporto hai con altre letterature non cubane, dunque?
Ho parlato di una genealogia nella quale c’è un po’ di tutto. Questa genealogia è il substrato e il teatro di operazioni. Mi caratterizza, credo, mi dà la chiave, mi permette scappare da un assedio. Leggo Riccardo Piglia, Houellbecq, Borges, Kundera, Chejov, Italo Calvino, per esempio, o Bulgákov, Sádor Márai, Carver… lì scopro le mie carenze. Cerco di fuggire da un assedio, Kafka nel suo diario, metteva in guardia dell’errore di avere solo come referenze letterarie gli scrittori del paese in cui si vive.
Questa varietà di letture mi obbliga a tendere la corda nella narrativa e quando scrivo critica letteraria o socio-culturale. Come ha detto Umberto Eco, si tratta di pensare difficile, o come consigliava Cortázar di “situarsi prima di scrivere qualunque frase subordinata”. Immagino che la frase anteriore sia una sorta di coordinata, di traccia che indichi come interagisco con la letteratura non cubana.
Che pensi della politica culturale cubana, specialmente in campo letterario?
E’ una domanda piuttosto complicata, ogni volta che lo Stato cubano agita la cultura come scudo e spada della nazione. A buon intenditor poche parole saranno sufficienti: in una piazza sotto assedio, lo scudo è per la difesa, la spada per l’attacco.
Non sono isolati i casi di autori e libri considerati politicamente non corretti o non opportuni per via del conflitto che affrontano. Questi anni non assomigliano al periodo vissuto negli anni ’70. Diciamo che la politica culturale o editoriale si permette alcune licenze: prostituzione, razzismo, diversità sessuale, capitoli dolorosi della nostra storia post 1959, per sono solamente “alcune licenze”. Se di un autore si pubblica solo parte della sua opera, se altri non si possono menzionare nemmeno in televisione, se a rischio e con i soldi propri un imprenditore, qualunque sia la sua professione, non può creare una casa editrice e mettere in circolazione un catalogo di autori e una rivista in una libreria, la politica culturale continuerà a mantenere le rigidità della piazza assediata.
Che proporresti per esempio rispetto a questo?
Il lavoro dell’intellettuale è osservare, associare, analizzare in modo critico l’ambiente circostante, mettere in circolazione la conoscenza acquisita. Ovviamente è dovere non solo scegliere il destinatario e la maniera in cui elaborare il contenuto e distribuirlo. Non basta pensare e fare un blog, una rivista digitale o una editrice indipendente.
A priori dico che pensare è creare, creare è resistere.
E per quel che riguarda la diffusione della letteratura cubana in ambito internazionale?
L’Istituto Cubano del Libro e il Ministero della Cultura organizzano ferie internazionali e festival oltre a gruppi di scrittori e specialisti che sono inviati a ferie e festival internazionali insieme alla produzione editoriale. Tuttavia, non credo che questo si traduca in un lavoro davvero efficace o che l’investimento ottenga l’effetto sperato. Fuori da Cuba esistiamo appena, questa è la realtà.
Non sono molti gli autori cubani viventi che sono riusciti ad uscire dall’anonimato. Da una parte c’è il grande successo letterario che arriva o grazie a un premio o grazie al lavoro di promozione di grandi editrici come Anagrama o Tusquet: Leonardo Padura è uno dei pochi scrittori cubani che esistono al di là delle nostre frontiere. Oltre a lui, Wendy Guerra, Pedro Juan Gutiérrez, Abilio Estévez. Altri hanno visto la luce grazie alla ricerca di qualche accademico o grazie a sforzi e rischi propri. Aggiungerei alcun altro nome che non completano la lista. Comunque non si tratta di una lista che stancherebbe: José Kozer, Reina María Rodríguez, Ronaldo Menéndez, Karla Suárez, Daína Chaviano e Zoé Valdés, o Retamar. Tutti gli altri, e in questi mi ci metto anch’io, esistiamo a malapena. Però le cose potrebbero cambiare. Nel quotidiano El País, è uscito un articolo dove si diceva che una buona parte degli scrittori cubani stanno con le spalle al mercato. La domanda è: come potrebbe uno scrittore cubano stare di fronte al mercato? Se non esiste nemmeno una alternativa nazionale, se gli editori svolgono la funzione di correttori, se l’agente letterario non ha le risorse per svolgere il suo lavoro, se la filosofia del lavoro di non pochi editori cubani risponde al caos, al senza senso, che ci si può aspettare se non un panorama kafkiano?
Per fortuna non tutti accettano e vanno per la loro strada.
Riesci a vivere della tua scrittura?
Se intendi vivere dei diritti d’autore per la vendita dei miei libri, la risposta è no. Se ti riferisci alle varianti che hanno come soggetto la scrittura, allora sì. Il diritto d’autore per la pubblicazione dei miei libri, i concorsi, le borse di studio, il giornalismo culturale, conferenze, il lavoro di giurato a premi e il mio stipendio come editor web nel Centro di Formazione Letteraria Onelio Jorge Cardoso, fanno un totale più o meno dignitoso che rende meno complicato arrivare alla fine del mese. Nulla di diverso dalla realtà di qualunque scrittore in mezzo mondo.
All’inizio parlavi della tua formazione in un workshop letterario e attualmente lavori in una istituzione che in un certo senso è il riferimento più importante a Cuba per questo tipo di workshop. Che ruolo hanno questi workshop?
Credo che per me tutto cominciò in quel workshop. Chiaro che non si può lasciare tutta la responsabilità al maestro perché la necessità di scrivere, pensare la letteratura, provocare una inquietudine, un fastidio e di farlo in una maniera unica è semplicemente incontrollabile.
Un buon maestro è quello che ti porta per mano nella tappa della formazione, ti insegna le regole, ti invita a conoscerle e a dominarle per poi invitarti a romperle. Il vero maestro è quello che ti aiuta a liberarti.
Lavori al Centro di Formazione Letteraria Onelio Jorge Cardoso. In che consiste il tuo lavoro?
Sono editor web. Come tutte le istituzioni del Ventunesimo secolo anche l’Onelio ha uno spazio fisico e uno virtuale. Il mio lavoro si concentra sullo spazio virtuale. Si tratta di riunire l’attività del Centro in questo spazio. La ragione del Centro sono i giovani che prendono parte al corso annuale di tecniche narrative. I contenuti del sito web sono diversi: notizie relative ai lavori degli studenti, ai premi letterari, pubblicazione dei racconti vincitori dei concorsi organizzati dal Centro, più informazioni relative al centro stesso.
Io sono quello che sceglie, edita e pubblica i contenuti. A volte li scrivo anche. Inoltre sono uno degli specialisti del Centro e in questa veste compio varie funzioni: seleziono gli studenti, faccio da giurato nei concorsi che organizziamo, scrivo articoli per la nostra rivista, El Cuentero.
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Ahmel Echevarría Peré
Nacido en La Habana en 1974. Narrador. Miembro de la Unión Nacional de Escritores y Artistas de Cuba (UNEAC) y de Latin American Studies Association (LASA). Tiene publicado los libros Inventario (Premio David 2004 de cuento, UNION, Cuba, 2007), la noveleta Esquirlas (Premio Pinos Nuevos 2005, Letras Cubanas, Cuba, 2006), Días de entrenamiento (Premio Franz Kafka de Novelas de Gaveta 2010, FRA, República Checa, 2012), Búfalos camino al matadero (Premio José Soler Puig de Novela 2012, Oriente, Cuba, 2013) y La noria (Premio de Novela Ítalo Calvino, 2012, UNION, Cuba, 2013) galardonada con el Premio de la Crítica Literaria de 2013. Columnista del sitio web de la revista Cuba Contemporánea (www.cubacontemporanea.com). Actualmente trabaja como editor del sitio web Centronelio (www.centronelio.cult.cu).
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