La crisi cinese mette in crisi l’Europa dell’austerità

by Roberto Ciccarelli, Rapporto sui Diritti Globali 2015 | 16 Luglio 2016 10:44

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L’asse Berlino-Pechino è fondamentale per comprendere lo stato della crisi nel 2015. Per Christian Marazzi, autore tra l’altro de E il denaro va (Bollati Boringhieri) e Diario della crisi (Ombre Corte), l’economia europea e cinese sono interconnesse a tal punto da potere tracciare scenari geopolitici e geo-economici fortemente dipendenti. Il ragionamento parte dal 2014 e si dispiega per tutto l’anno successivo, alla luce delle politiche di allentamento monetario con le quali la Banca Centrale Europea, prima, e poi la Banca Centrale di Pechino, hanno cercato di bloccare la spirale deflazionistica in atto e di uscire da una situazione di recessione che si sta protraendo da troppo tempo. Ne è nato un conflitto, basato sull’esportazione della deflazione da un continente all’altro. A parte gli effetti devastanti che queste politiche hanno dispiegato contro i cosiddetti “Paesi emergenti” (BRICS), si rischia di alimentare la cosiddetta “economia delle bolle finanziarie” sulla quale Marazzi ha scritto per tempo considerazioni pertinenti. In questa cornice, l’economista svizzero traccia il profilo della grande politica nel XXI secolo. Il fatto economico-finanziario è compreso alla luce dei rapporti di forza, interni ed esterni rispetto alle aree di influenza della Germania e della Cina, come di quella americana, senza dimenticare le profonde interconnessioni che legano questi Paesi. La Germania, ad esempio, ha accumulato nell’ultimo decennio un surplus record delle esportazioni verso la Cina. La manovra di “allentamento quantitativo” intrapresa dalla Cina nell’estate del 2015 rischia seriamente di compromettere una situazione sulla quale i ceti dirigenti tedeschi hanno costruito il loro potere continentale in Europa.

«Bisogna intendere il quantitative easing europeo come un tentativo piuttosto disperato di bloccare la spirale deflazionistica e di uscire da una situazione di recessione che si sta protraendo da troppo tempo per la stessa Germania; tuttavia, questa clausola dell’80% di assunzione del rischio dei Paesi membri è pesante, perché vanifica la possibilità di agire di concerto in Europa», ragiona Marazzi.

Alla base c’è una situazione economica che è ben più grave di quella rappresentata in maniera instancabile sui media. Nella ricostruzione di Marazzi non c’è nulla di rassicurante e si valutano scenari e ipotesi con estremo realismo: al termine dell’estate 2015 in Europa era chiaro che la strategia del QE voluta dalla BCE non ha raggiunto i risultati attesi. Lo stesso presidente della Bce Mario Draghi ha annunciato che prolungherà l’alluvione di liquidità monetaria alle banche europee ben oltre il settembre 2016, ipotesi già prevista dallo stesso Marazzi.

Per l’economista, «l’Europa potrebbe raccogliere la chance offerta da questa crisi per rovesciare l’assetto economico imposto al continente dall’austerità. Venendo meno la possibilità di esportare massicciamente in Cina, la Germania potrebbe avere interesse nel rilancio della domanda interna, entrando così in una fase post-austeritaria».

 

Rapporto Diritti Globali: La Germania soffre da tempo la crisi cinese, ma il suo governo – almeno per il momento – non sembra intenzionato a cambiare rotta. Come si spiega questa rigidità?

Christian Marazzi: Ci confrontiamo con un fanatismo ordoliberista sempre più politico. La rigidità con la quale i tedeschi continuano ad affrontare la Grecia, ostentando la loro egemonia, lascia in sospeso questa chance. Ma la situazione che è stata ufficializzata dalla Banca del Popolo Cinese è incompatibile con la rigidità di Wolfgang Schäuble. Con il venire meno della forza della Germania, cioè lo sbocco in Oriente, non vedo come potranno funzionare le sue politiche ossessivamente austeritarie. Si potrebbero addirittura immaginare le sue dimissioni o una crisi seria del governo.

 

RDG: Che contraccolpi è possibili ipotizzare sull’Europa e sulle politiche della BCE?

CM: La BCE sarà costretta a continuare il Quantitative Easing (QE) anche oltre il settembre 2016, dato che uno degli effetti che avrà la decisione cinese sarà quello di esportare deflazione proprio nel momento in cui la BCE sta cercando di debellarla. Bisogna dire che il QE non genera necessariamente una crescita omogenea; questa situazione complicherà ancora di più l’obiettivo che intende raggiungere Mario Draghi. Nei prossimi mesi assisteremo, inoltre, alla recrudescenza degli attacchi al salario, alle pensioni e alla precarizzazione dei lavoratori per far fronte a uno scenario globale destabilizzato. Sarà come prima, ma più di prima. In tale cornice potrebbero rafforzarsi una serie di rivendicazioni politiche anche in Italia, ad esempio quella di sganciare il costo del lavoro dalle condizioni di vita, trasformando il salario in reddito di esistenza e non più in costo del lavoro. Una situazione che potrebbe facilitare una fase di costituzione di movimenti trasversali e postsindacali.

 

RDG: La vicenda greca, con la capitolazione imposta ad Alexis Tsipras, sembra però avere rafforzato le posizioni sovraniste, no euro e xenofobe…

CM: Siamo tutti ancora storditi per quanto è successo in Grecia. La forza della necessità prevale ormai sull’ottimismo di una verticalizzazione dei movimenti. La svalutazione cinese e la realtà esplosiva e tragica dei profughi sono i due aspetti più visibili di una situazione in equilibrio precario. Non so quanto potrà durare senza scatenare rivolte, che non avranno necessariamente un esito positivo e costituente. Detto questo, è il caso di notare che il piano Schäuble prevede l’uscita dall’euro della Grecia e di altri Paesi, cioè la stessa cosa che vogliono i suoi avversari. Il dibattito euro sì-euro no mi sembra una grande trappola. È stato giusto investire su Syriza, ora bisogna puntare su una fase di concreta solidarietà, di sperimentazione di monete di scambio locali. Non dev’essere il movimento a verticalizzarsi, com’è accaduto in Grecia, ma la politica a farsi orizzontale e a misurarsi integralmente con le sue istanze.

 

RDG: Che scenari si aprono ora in Cina?

CM: Già prospettando le conseguenze sul governo tedesco delle decisioni della Banca di Pechino abbiamo compreso che la Cina è, non da oggi, un attore estremamente potente dell’economia globale. Non lo è solo dal punto di vista degli scambi commerciali, ma ormai anche da quello monetario internazionale e degli equilibri dei mercati finanziari. Questa decisione è stata presa per rimediare al terremoto avvenuto sulla Borsa di Shangai e ha molto a che fare con una lotta nel Partito comunista. Il ventre del PCC si è vendicato contro il presidente Xi Jinping, vendendo in massa i titoli. La base del partito non sopporta la campagna contro la corruzione voluta dai vertici. È in atto una lotta interna che Xi Jinping sta vincendo, almeno per il momento. La Banca Centrale agisce secondo le direttive del partito per contenere questa resistenza della base.

 

RDG: Quella cinese è una mossa preventiva contro il rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve statunitense?

CM: Janet Yellen, la governatrice della FED, ha seguito una politica intelligente orientata all’uscita graduale dalle politiche di tassi di interesse nulli. Sembrava che si fosse prossimi alla possibilità di farlo, ma quanto successo in Cina l’ha azzerata o posticipata. Non è cosa da poco, perché l’aumento dei tassi è necessario per gli USA in vista di una prossima di crisi. Per gli americani è necessario avere un margine di manovra per contrastare la recessione. Se non possono aumentare i tassi, non avranno questi margini nel futuro. Questi eventi possono avere risvolti anche preoccupanti.

 

RDG: Di che tipo?

CM: Si è subito visto quando il rendimento dei Buoni del tesoro USA a due anni è calato in previsione dell’impossibilità della FED di aumentare a breve i tassi per gli effetti deflazionisti della svalutazione cinese. Pensiamo alle conseguenze sui fondi pensione, cioè i maggiori acquirenti di Buoni del tesoro al mondo. Con questi tassi di rendimento nulli, o addirittura negativi, si troveranno nei pasticci quando dovranno erogare le rendite pensionistiche. Poi c’è l’effetto sulle materie prime, come l’oro o il rame, che subiscono contraccolpi forti per il calo della domanda mondiale. Infine, c’è il calo del petrolio, che dall’anno scorso ha pesanti effetti sull’industria estrattiva del fracking. L’unica cosa che potrebbe controbilanciare la rigidità dei tassi di interesse prossimi allo zero è che in questi mesi sono state fatte tante fusioni e acquisizioni, visto che il denaro costa nulla. Tutti temevano un rialzo dei tassi di interesse e quindi un effetto pericoloso sulle grandi corporation, che si sono comprate a vicenda, indebitandosi.

 

RDG: In questo quadro, movimentato dalle scelte cinesi, il Fondo Monetario Internazionale sembra stare alla finestra. Come mai?

CM: Perché un cambio più flessibile permette di avere un’economia dinamica e favorisce l’entrata del renminbi nel paniere dei diritti speciali di prelievo, costituito dal dollaro, l’euro, la sterlina e lo yen. Dall’inizio del 2014 il renminbi si è rivalutato di oltre il 10 % a causa del suo legame con il dollaro. La terza svalutazione della moneta cinese riequilibra in maniera normale la parità con le valute dei partner commerciali occidentali ed è un primo passo verso la mercatizzazione di quella cinese, che non sarà più una moneta circoscritta agli scambi con i Paesi asiatici più vicini. Secondo la loro tradizione, i cinesi hanno astutamente rovesciato la critica degli americani – ovvero la rigidità del renminbi – a loro vantaggio. Che oggi sta nella svalutazione, che compensa il calo della produzione e delle esportazioni, assai più grave di quella annunciata.

 

RDG: Insomma, si conferma la trappola dell’economia finanziaria: tassi bassi, crescita bassa e grande liquidità?

CM: L’economia è destabilizzata e lo resterà. In questo scenario, va inteso il contrattacco cinese contro una politica finanziaria americana che ha voluto penalizzare i Paesi emergenti, e la Cina in primo luogo.

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