Inps: gli immigrati ci regalano un punto di Pil in contributi

by Antonio Sciotto, il manifesto | 8 Luglio 2016 9:59

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Quasi sei milioni di pensionati, circa 4 su 10 (il 38% del totale), vivono con meno di mille euro al mese. Ben 1,6 milioni con assegni sotto i 500 euro. Il quadro viene dal Rapporto annuale dell’Inps, presentato ieri alla Camera dal presidente Tito Boeri. La relazione di Boeri ha messo in risalto anche un altro dato, importante e attuale: gli immigrati danno allo Stato più di quanto ricevono. In Italia, infatti, versano ogni anno 8 miliardi di euro di contributi sociali e ne ricevono solo 3 in forma di pensioni e altre prestazioni, con un saldo netto di circa 5 miliardi.

«Dietro alle spinte centrifughe che sembrano mettere in discussione la sopravvivenza stessa della Ue – ha detto Boeri – c’è una tensione latente fra la forte domanda di protezione sociale alimentata da anni di crisi e il timore che i forti flussi migratori in atto possano minare le fondamenta del welfare state. Sono, per lo più, preoccupazioni infondate». Se da un lato, ovviamente, in futuro il saldo tra versamenti e prestazioni tenderà a ridursi, «è anche vero – ha aggiunto il presidente Inps – che in molti casi i contributi previdenziali degli immigrati non si traducono poi in pensioni».

L’Inps ha calcolato che fino a oggi gli immigrati hanno «regalato» circa un punto di Pil di contributi sociali a fronte dei quali non sono state loro erogate delle pensioni. E ogni anno questi contributi a fondo perduto valgono circa 300 milioni. Boeri ha infine voluto «rassicurare i cittadini sul fatto che la protezione sociale non solo non è incompatibile con l’immigrazione, ma addirittura può avvantaggiarsi dalla mobilità del lavoro». Parole che all’indomani dell’orrendo omicidio a Fermo di Emmanuel Chidi Namdi, nigeriano richiedente asilo, risultano ancora più significative.

Tornando ai dati sugli assegni previdenziali (riferiti al 2015), c’è da notare che dei 5,96 milioni di pensionati sotto i mille euro al mese, la grande maggioranza sono donne (3,95 milioni). La percentuale di chi ha redditi bassi è molto inferiore al 2014 (38% a fronte del 42,5%) perché quest’anno sono state riviste le banche dati e l’importo annuo totale è stato diviso per 12 invece che per 13 mensilità.

È naturalmente aumentata anche la fascia dei “benestanti”, quelli che godono di oltre 3 mila euro di reddito pensionistico al mese: sono circa un milione (il 6,5% del totale), per circa tre quarti uomini (745.238 a fronte di 265.140 donne).

La fascia tra i 1.000 e i 1.500 euro al mese (3,4 milioni di persone) è pari al 22% del totale dei pensionati mentre quella tra i 1.500 e i 2.000 è pari al 18,1%. Nel complesso i pensionati sono 15,6 milioni per 21 milioni di prestazioni e 275,2 miliardi di importo lordo annuo di reddito pensionistico.

Da Boeri è poi arrivata una promozione del Jobs Act, relativamente al tema delle assunzioni, ma insieme un messaggio di preoccupazione per il dilagare dei voucher. Non c’è stata nessuna ondata di licenziamenti, che anzi nel 2015 secondo Boeri sono diminuiti del 12% rispetto al 2014. Si è registrato anche l’aumento del 62% (76% per gli under 30) del numero dei contratti a tempo indeterminato mentre la percentuale di occupati con contratti a tempo o stagionali è scesa dal 37% al 33% tra i giovani. Ovviamente molto ruolo hanno avuto gli incentivi.

Rispetto ai ticket lavoro, Boeri ha detto che «si vedrà nei prossimi mesi quanto la tracciabilità sia efficace nel riportare l’utilizzo dei voucher nell’alveo inizialmente considerato dal legislatore e coerente con misure analoghe prese in altri paesi europei».

Infine la flessibilità in uscita e il prestito pensionistico, anche detto Ape. «Sarebbe paradossale che il confronto in atto fra governo e sindacati si concludesse ancora una volta con interventi estemporanei e parziali», ha detto Boeri. Aggiungendo poi che «non si può negare che rate ventennali di ammortamento di un prestito pensionistico costituiscano una riduzione pressoché permanente della pensione futura». La soluzione ideale dovrebbe «garantire maggiore libertà di scelta consapevole senza aumentare il debito pensionistico e senza creare generazioni di pensionati poveri».

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