by Andrea Nicastro, Corriere della Sera | 18 Luglio 2016 10:00
ISTANBUL Seimila arresti già eseguiti più, minaccia Bekir Bozdag il ministro della Giustizia di Ankara, altri seimila sono in arrivo. Dietro le sbarre sono finiti per ora militari con le stellette e giudici, ma presto potrebbe toccare anche ad amministratori pubblici, dirigenti e manager privati.
In Turchia non dorme sonni tranquilli chiunque sia sospettato d’essere legato all’imam Fethullah Gülen, da anni in esilio auto-imposto negli Stati Uniti. La grande purga del dopo golpe sta andando avanti. Il presidente Erdogan fa pulizia. La gente che sa di avere qualcosa da temere sta a casa e aspetta la polizia, il corpo di sicurezza più fedele al presidente, quello che con le sue armi ha sconfitto i carri armati.
«Toccherà anche a me?». C’è chi pensa sia meglio stare dietro le sbarre che essere riconosciuti per strada. Si parla di milizie islamiste in azione. Comparso al funerale delle vittime di venerdì notte, il presidente Erdogan è tornato ad arringare la folla come aveva fatto a golpe non ancora scongiurato. Nessuna divisa attorno a lui, solo zuccotti di fedeli e giberne nere delle guardie scelte. Il presidente chiede al popolo di proseguire la prova di forza e restare nelle strade. La gente gli risponde chiedendo la pene di morte per i traditori.
Circolano dichiarazioni di alti esponenti del governo intenzionati ad armare i circoli che fanno capo alle moschee, quelli che hanno reagito al putsch. Saranno anche fantasie di gente che non dorme da due giorni, ossessioni di chi ha visto sui cellulari troppi linciaggi di soldatini mandati allo sbaraglio, ma la paura si sente nell’aria. «Ci sono solo fedeli del presidente per le strade, solo gente uscita dalle moschee. Adesso sono loro che comandano, gli islamisti».
Il nuovo Sultano ha chiesto a Washington la consegna dell’anziano, miliardario Imam Gülen, presunta mente del golpe. Il segretario di Stato americano, John Kerry, replica di voler prima esaminare le prove. «Non è arrivata da Ankara alcuna richiesta ufficiale» precisa Kerry e poi, rispondendo alle mille voci che indicano nella Cia, nel Pentagono, nell’«imperialismo a stelle e strisce» l’alleato chiave del religioso turco dice: «È irresponsabile parlare di un coinvolgimento americano».
L’«alleato strategico», come si auto definisce Erdogan, ha mollato almeno su un punto. Dopo 48 ore di tesissimo blocco, lo spazio aereo turco è stato dichiarato nuovamente aperto ai caccia Usa della base di Incirlik e i bombardamenti sulle postazioni dell’Isis in Siria sono ricominciate.
Altra tensione quando la polizia turca ha bussato ai cancelli della base Nato per arrestare niente meno che il comandante dell’acquartieramento, il generale turco Bakir Ercan Van. Sebbene a Smirne i golpisti non abbiano mosso una bicicletta, il generale è accusato di simpatizzare per Gülen l’imam «americano».
Andrea Nicastro
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