by Luca Celada, il manifesto | 8 Luglio 2016 9:01
Si allunga la scia di sangue lasciata dalla polizia americana. In due giorni due uomini afroamericani sono stati uccisi a bruciapelo dalle armi di ordinanza impugnate da agenti di polizia, assassinii registrati su video subito virali che hanno rialzato la tensione per la violenza razzista istituzionalizzata a livelli non visti da tempi di Ferguson.
Philando Castile, impiegato in una scola, è stato fermato dalla polizia a quanto pare per un fanalino di coda non funzionante della sua auto su una strada di Saint Paul, appena fuori Minneapolis. Pochi minuti dopo rantolava sul sedile, la maglia inzaccherata di sangue. Sono le prime immagini del video girato dalla compagna che era in macchina con lui assieme alla figlia di quattro anni, anche lei testimone dell’agghiacciante esecuzione. La donna, Lavish Reynolds, continua a registrare col telefonino e documenta una scena surreale: il poliziotto urla che è tutta colpa della vittima, che non doveva mettere le mani in tasca. Lei gli rammenta che stava eseguendo l’ordine impartitogli di mostrare i documenti, che aveva avvertito l’agente di avere una pistola con regolare porto d’armi. La donna viene ammanettata e messa nel retro di una volante con la figlia, si dispera consolata dalla bambina: «Sono qui con te, mamma». Poi continua registrare e il suo a questo punto è un appello a chiunque vedrà il video, chiedendo aiuto e diffusione, una sorta di SoS al mondo che parte, evidentemente, dai tanti casi di denunce inascoltate da parte della popolazione afroamericana.
Come era successo, appunto, il giorno prima, stavolta non nell’illuminato Minnesota ma nell’afosa Louisiana ex schiavista. Nel parcheggio di un modesto convenience store di Baton Rouge due poliziotti affrontano un uomo nero. Il filmato stavolta registra le ultime fasi di un alterco già cominciato: gli agenti urlano ordini a un uomo appoggiato al cofano di un auto che tenta di spiegarsi. Uno dei due improvvisamente lo placca gettandolo a terra. Il suo collega ugualmente si getta su di lui. L’uomo dal maglione rosso si dibatte schiacciato dal peso dei due poliziotti. Uno dei due è cavalcioni sul suo petto, l’altro in ginocchio accanto a lui gli blocca le braccia.
La scena si vede meglio in un secondo filmato girato da Mufleh Alatiyat, 25 anni, commesso del negozietto di fronte. All’improvviso si sente uno dei sue poliziotti che urla «ha una pistola. Pistola!». Partono due colpi, poi altri tre. «Cazzo!», grida uno dei due agenti che gli appena hanno sparato a bruciapelo e ha l’arma ancora in mano. L’uomo è ancora vivo, respira a malapena. Muove un braccio a fatica. Sul suo petto si allarga una vistosa macchia di sangue.
Così finisce la vita di Alton Sterling, 37 anni, cinque figli, che sbarcava il lunario vendendo Cd nel parcheggio del Triple S ai clienti che di fretta entravano a comprare le sigarette o un litro di latte. Si vede alla fine che uno dei poliziotti estrae qualcosa, forse una pistola, dalla tasca del moribondo. Il decesso verrà certificato all’arrivo di un ambulanza.
La polizia dichiarerà che gli agenti sono giunti sul luogo in seguito alla segnalazione di un uomo armato. Alativat, la donna che ha girato uno dei video in circolazione, dice che Sterling non aveva mai dato fastidio a nessuno, era conosciuto nel quartiere e dagli avventori che compravano dischi da lui facendo quattro chiacchiere. Un comunicato del capo della polizia della città della Louisiana afferma che «ci sono molti elementi non ancora noti della vicenda». I video invece mostrano ancora una volta un nero buttato a terra e ucciso. La sua morte sul selciato si va ad aggiungere a un triste repertorio con piccole varianti ma sostanzialmente sempre uguale.
Sterling muore come Oscar Grant, buttato a terra e sparato alla schiena una notte di Capodanno mentre rincasava alla stazione Fruitvale della metro di Oakland. Implora i suoi aguzzini come aveva fatto Eric Garner, anche lui venditore ambulante abusivo di sigarette, a Staten Island. Prima di morire strangolato dagli agenti aveva proferito le ultime parole «I cant breathe…non riesco a respirare». Anche lui aveva lasciato orfana una figlia. O Walter Scott, sparato alla schiena mentre fuggiva dal poliziotto di Charleston, South Carolina, che lo aveva fermato col pretesto per fargli l’ennesima multa. Anche quel poliziotto aveva dichiarato di aver temuto per la propria vita e lo aveva fatto anche l’agente Van Dyke che ad aprile a Chicago che ha sparato 16 colpi a Laquan McDonald di appena 17 anni…..
Le storie e i video che le documentano illustrano una geografia della violenza razzista, un compendio degli abusi di una polizia militarizzata che ad oggi in Usa, solo quest’anno, ha già fatto 557 vittime e già 18 soltanto nell’ultima settimana. Oggi con l’aggravante di un candidato presidenziale che sostiene apertamente che è tutto un complotto contro gli «eroi in divisa», che soffia sul fuoco di un incendio americano che brucia rovente come sempre e come non mai.
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