Blair, un criminale di guerra
Il referendum sul Brexit ha avuto tra gli effetti più notevoli il discredito di gran parte del ceto politico inglese. Ora, il rapporto Chilcot dà una mazzata ulteriore alla credibilità di quella che un tempo era chiamata la «terza via», cioè la politica di destra travestita da modernizzazione della sinistra, identificata da sempre in Tony Blair (e ora rivendicata, ma anche in questo caso con scarso successo, da Matteo Renzi, che comincia a essere abbandonato da una destra che vedeva in lui il vero erede di Berlusconi).
Ciò che emerge dal rapporto va persino al di là delle menzogne raccontate a suo tempo da Bush e Blair per giustificare la guerra in Iraq del 20013: è la stupidità e l’incoscienza di un leader politico che, per piaggeria verso gli americani o altri motivi inconfessabili, getta il suo paese in un’avventura militare che ha prodotto direttamente o indirettamente, la morte di centinaia di migliaia di persone, la destabilizzazione di un’intera area, l’infuriare di un revanscismo islamista che ora si abbatte sull’intero occidente. Le famiglie dei soldati inglesi caduti sostengono che Blair è peggiore dei terroristi. Visto l’esito delle sue iniziative militari, è difficile dar loro torto.
I conservatori inglesi non hanno molto da gioire per il fango che ora ricopre Blair. Infatti Cameron, il loro leader piccolo piccolo – anzi minuscolo, visto l’esito del referendum sul Brexit – ha fatto esattamente lo stesso in Libia, insieme a quell’altro bel tomo di Sarkozy. Ecco due guerre, quella irachena e quella libica, non solo criminali, come tutte le guerre, ma profondamente stupide, perché prive di qualsiasi strategia e di una minima analisi delle conseguenze anche per chi le avvia, e quindi autolesionistiche. L’evidente declino dell’Inghilterra, una piccola potenza che si illudeva di essere la stessa di un secolo fa, è iniziato nel 2003, proprio come il ridimensionamento strategico degli Usa.
Blair, secondo il rapporto Chilcot, avrebbe iniziato una guerra «avventata» insieme a Bush (per non parlare di tutti quelli che si sono accodati, come Berlusconi e Aznar). Ma la definizione è riduttiva. La guerra in Iraq è stata un effetto dell’ideologia neo-conservatrice che si è abbattuta dopo il 2001 sulle due sponde dell’Atlantico. Una corrente – come rivendicavano Cheney e Rumsfeld e i loro consiglieri – che non è mai stata interessata a fatti o obiettivi, ma a «valori», e cioè a ossessioni come l’eliminazione di Saddam Hussein o la sconfitta dell’Iran o altri stati «canaglia», ovvero ostili alla politica esterna neo-conservatrice. Il risultato ovvio, ma già prevedibile nel 2003, della fine di Saddam era il rafforzamento strategico dell’Iran, che oggi controlla gran parte dell’Iraq, così come le guerra in Siria e in Ucraina stanno portando al rafforzamento della Russia di Putin nel Mediterraneo e in Asia minore.
Ma dal rapporto Chilcot emerge indirettamente qualcosa di più grave e decisivo che non l’avventatezza, l’ipocrisia o l’ottusità dei leader americani e inglesi nel 2003 (e di gran parte dei loro successori). Emerge soprattutto la facilità con cui i leader delle cosiddette democrazie liberali possono prendere iniziative milutari, che comportano disastri e sofferenze in tutto il mondo, per ragioni oggettivamente miserabili: il sostegno alle aziende petrolifere o ai produttori di armi, il finanziamento delle proprie campagne elettorali, beghe di partito e così via. Niente di nuovo sotto il sole, ma oggi, quando il battito d’ali di una farfalla può far crollare grattacieli dall’altra parte del mondo, qualcosa di terrificante.
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