Renzi e il rischio della gelata a Nord

Renzi e il rischio della gelata a Nord

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Mentre il capo è in Russia, al Nazareno continuano a spulciare gli ultimi sondaggi con facce di ora in ora più preoccupate. La nota più dolente resta Milano: proprio da quel risultato dipenderanno le valutazioni complessive destinate a diluviare già da stanotte. Per come si sono messe le cose strappare con i denti quella vittoria che sembrava garantita vorrebbe dire oggi per Matteo Renzi un mezzo trionfo. Ma i sondaggi impongono invece persino qualche brivido in più rispetto alla già non brillante situazione del primo turno.

Possibile che nonostante il tour promozionale di Massimo Zedda, la riconciliazione con il candidato della sinistra Basilio Rizzo e lo spauracchio di Berlusconi e Salvini la situazione rimanga da allarme rosso? Possibile. Sui perché dell’inatteso testa a testa la corte renziana non ha dubbi: questione di feeling, di capacità comunicativa. Stefano Parisi ne dispone. Beppe Sala no. Inutile scervellarsi in analisi fini.

Però non c’è solo Milano. Roma è un caso disperato, ma si sapeva sin dall’inizio e nessuno ci perde il sonno. Nella città eterna ci sono anni e anni e sindaci e malavitosi e amministratori corrotti ai quali addossare il peso della catastrofe annunciata. Grasso che cola essere riusciti almeno a contrastarla. Quanto a Napoli, l’unica città già persa, non ha già annunciato il capo tempestivo e impietoso intervento commissariale?

Solo che anche guardare i pronostici di Torino e persino di Bologna fa l’effetto di una pellicola di Hitchcock, e questo è meno facilmente giustificabile. La formula propinata in anticipo da Renzi, secondo cui il voto dei comuni riguarderebbe solo i candidati e il segretario del partito che li ha messi in campo non c’entra, era studiata per una situazione nella quale i punti deboli erano due, Roma e Napoli, e a Milano, sia pur soffrendo, si arrivava a meta. Se i focolai si moltiplicano quel quadretto stinge. Tuttavia è ancora presto per parlare di una vera strategia con la quale reagire alla tempesta. Tutto dipende da come finirà nelle due piazze nordiche. Se a Milano e Torino la grande paura risolta si scioglierà in un sospirone di sollievo, Renzi farà sostanzialmente finta di niente. In caso contrario, qualche ritocco ai piani di battaglia per i prossimi mesi potrebbe rendersi inevitabile.

In entrambi i casi, è già stata decisa l’offensiva «col lanciafiamme» contro i maledetti sabotatori. Non che si tratti di una gran trovata: la quinta colonna, il nemico interno, è da sempre una giustificazione in voga per spiegare le sconfitte. Essendo comunque la campagna delle comunali già una sconfitta, nella quale resta da definire solo se grave o catastrofica, l’avanzata contro le serpi in seno la si può già dare per sicura. L’oscena campagna di questi giorni contro Massimo D’Alema è un segnale non equivocabile.

Sarà una campagna fatta di parole perentorie alle quali però seguiranno fatti blandi. Con o senza lanciafiamme, alla vigilia di un referendum in cui si gioca tutto, Matteo Renzi non può permettersi defezioni nel fronte del Pd. E’’ condannato ad abbaiare senza poter mordere. Al contrario, nella cabina di regia di palazzo Chigi inizia ad avvertirsi un certo timore che possano essere proprio i felloni a cogliere l’occasione per presentare al magnifico il conto. Secondo ogni logica politica, in effetti, dovrebbe andare proprio così, ma conoscendo la grintosa determinazione della minoranza del suo Pd Renzi, almeno su quel fronte, può dormire sonni tranquillissimi.

Ma se al giorno di terrore dovessero seguire risultati sconfortanti nelle metropoli del nord, una reazione basata sulla miscela di minimizzazione e messa all’indice dei traditori non basterebbe. Nelle ultime due settimane, Renzi è apparso tentato dall’idea di rinviare il referendum, attualmente previsto per il 2 ottobre, di un mesetto o poco più. Ufficialmente solo per avere agio di spiegare la magnificenza della riforma al popolo votante, che sulla carta di tempo ce n’è tanto ma si sa che i mesi estivi contano poco. In realtà, probabilmente, Renzi mirerebbe ad avere tempo soprattutto per mettere a segno un colpaccio propagadistico risolutivo, e potrebbe trattarsi solo di un intervento con la scure sulle tasse.

Infine l’Italicum: sulla carta proprio la situazione estremamente difficile di Torino dovrebbe suggerire a Renzi di modificarlo, dal momento che la città piemontese è un modello in scala di quello che potrebbe verificarsi a livello nazionale con la nuova legge elettorale. Nel Pd e anche al di fuori ci sperano in molti. Si illudono.



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