Leon, il socialista coerente

by Felice Roberto Pizzuti, il manifesto | 14 Giugno 2016 10:05

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Paolo Leon aveva, come economista, una solida formazione teorica acquisita anche a Cambridge negli anni di Kaldor, Joan Robinson e Piero Sraffa. A differenza di altri, non aveva dimenticato i risultati consolidati raggiunti nel dibattito in quel periodo e i loro collegamenti con il marxismo e il keynesismo. Ma di questo prezioso bagaglio, arricchito da una costante attenzione agli sviluppi della letteratura analitica ed empirica che trasmetteva in primo luogo ai suoi studenti, non ne faceva solo uno strumento di critica al mainstream.

Nei trascorsi decenni, conformismo, saggezza convenzionale e accettazione amorfa hanno accompagnato il tentativo incongruo – tanto potente e diffuso quanto stupidamente presuntuoso – di stravolgere il senso stesso dell’economia da disciplina sociale in scienza naturale. La crisi globale che stiamo attraversando è anche responsabilità di queste pretese controproducenti della teoria economica dominante. In questi anni, Paolo, con coerenza, acutezza, pragmatismo e ironia, ha sempre applicato positivamente la sua formazione, verificandola e aggiornandola, ma senza cadere nel coro dei vecchi luoghi comuni riproposti con sofisticati tecnicismi che ammantano di pretesa scientificità sia la spiegazione di relazioni sociali presentate come «naturali», sia la difesa di interessi parziali.

Il suo bagaglio teorico era arricchito da una ingente mole di ricerche empiriche nelle quali, all’analisi del concreto funzionamento di specifici comparti della realtà economica accompagnava concrete proposte per migliorare il loro funzionamento e le connesse condizioni di vita.

Paolo aveva anche una solida formazione politica socialista che, unitamente a quella economica, alla sua onestà intellettuale e all’ancoraggio del suo pensiero alle necessità di ottenere anche nel breve periodo miglioramenti dello stato di cose presenti, lo hanno messo al riparo dalle crisi d’identità, dalle trasformazioni opportunistiche e dal minoritarismo velleitario che hanno pervaso la Sinistra negli ultimi decenni.

Ho avuto il piacere di lavorare con Paolo anche in circostanze istituzionali. Le sue posizioni, sempre aperte al confronto, non calavano mai dall’alto, le trasmetteva sui binari della semplicità che solo chi ha sedimentato bene i concetti può percorrere, erano sempre accompagnate da una umanità e un senso della vita mai banali, ma derivanti dalla sua esperienza che, comunque, non faceva pesare.

C’era un solido retroterra dietro la simpatia di Paolo e la sua capacità di accompagnare con un sorriso anche il senso di tristezza e d’insofferenza che le situazioni potevano suscitare.

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