Le droghe in Europa, una sfida alla politica
Irrefrenabile vivacità del mercato e mutevoli andamenti degli stili di consumo: quasi un urlo muto alla politica, quello che arriva dalle pagine del Rapporto 2016 dell’Emcdda, l’agenzia europea delle droghe.
Urlo muto perché celato tra le righe del linguaggio scientifico e del «politically correct» di conclusioni che, però, non rinunciano a invitare la politica comunitaria a far sì che «l’agenda politica europea in materia di droghe contempli un insieme di indicazioni politiche di più ampio raggio e più articolate rispetto al passato», perché il «problema droga» in Europa è definito «crescente».
Insomma, l’inadeguatezza delle politiche è sul tappeto, e forse non a caso l’urlo muto dell’agenzia è lanciato proprio a ridosso del rinnovo del Piano d’azione europeo sulle droghe, nel 2017.
Impossibile dare conto in poche righe dei tanti e complessi trend evidenziati dal Rapporto (ulteriori interventi in www.fuoriluogo.it). Il Rapporto, se da un lato tradizionalmente riporta le frequenze d’uso delle varie sostanze, da cui si evince che le politiche di riduzione della domanda e dell’offerta hanno efficacia zero, dall’altro dà ampia attenzione ai «pattern d’uso», questione molto più interessante se si vuole poi metter mano a interventi davvero in grado di ridurre rischi e danni, più che invocare una generica diminuzione della domanda (accento, questo sui «pattern d’uso», che ci piacerebbe veder sviluppato meglio e di più anche nella nostrana Relazione annuale, prima o poi).
Emergono “vecchie” sostanze usate secondo nuove modalità: è il caso del MDMA, di nuovo in crescita fuori dai gruppi e contesti del passato, secondo una sorta di normalizzazione dell’uso presso popolazioni sempre più generali, con un mercato che recupera in qualità e purezza. Su questo, l’Emcdda invita all’adozione di «risposte atte a ridurre il danno» per «sostenere una nuova popolazione di consumatori che potrebbero utilizzare prodotti ad alto dosaggio, senza comprendere appieno i rischi associati».
Il ritmo frenetico della produzione di nuove molecole, poi vendute on line, non accenna a diminuire: 560 sostanze sotto analisi, 98 quelle nuove segnalate nel 2015, e si tratta principalmente di cannabinoidi e catinoni sintetici, ma non mancano gli oppioidi di laboratorio (ce ne sono 19 di nuovi, cui sono imputate 32 morti nel 2015).
Gli stimolanti, amfetamine e cocaina, il cui uso si mantiene variabile nei diversi paesi, vedono un aumento dell’assunzione per via iniettiva, in calo per gli oppiacei ma in crescita per questa sostanze, con una necessaria rinnovata attenzione alla prevenzione delle malattie trasmissibili.
Cambia anche la geografia delle morti per overdose da oppiacei che sebbene in calo nel corso degli anni, nel 2015 ha registrato un aumento in alcune singole regioni, correlato all’uso di oppiacei sintetici da parte di giovani consumatori. Anche qui l’invito dell’Emcdda è alla riduzione del danno: la distribuzione del naloxone ai consumatori è all’ordine del giorno del dibattito europeo (per inciso, pratica su cui l’Italia, per una volta, è da vent’anni all’avanguardia, se solo se ne trovasse traccia nel sistema nazionale di monitoraggio, ancora muto attorno alla riduzione del danno).
Insomma, il Rapporto segnala un fenomeno crescente, ma non solo in senso quantitativo quanto in termini di complessità, differenziazione e mutevolezza, rispetto al quale la politica appare balbettante. Basta dare un’occhiata alla geografia delle iniziative mirate, dall’inizio degli anni ’10, alle nuove molecole: una mappa di azioni di «law enforcement» e superfetazione di tabelle.
Sono passati sei anni, e forse non è una buona e sufficiente risposta.
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