by Elena Tebano, Corriere della Sera | 13 Giugno 2016 9:47
Non sono passati neanche trent’anni da quando lesbiche e gay decimati dall’epidemia di Aids sfilavano da soli per le strade degli Stati Uniti gridando: «Noi moriamo, loro non fanno niente». Ieri, di fronte ai centri prelievi di Orlando, lunghe file di persone aspettavano in piedi di donare il sangue per le vittime, gay e lesbiche, della peggiore sparatoria nella storia degli Usa.
È tutta qui la distanza percorsa dalla «minoranza più disprezzata», come l’hanno definita gli storici: oggi un attacco alla comunità lgbt (lesbica, gay, bisessuale e transgender) è anche un attacco ai valori della libertà americana. Eppure la strage di Orlando ha ricordato all’America del matrimonio gay e dei coming out celebri che non è ancora libera dalla violenza dell’omofobia. I morti della Florida si aggiungono così ai «martiri» del movimento gay: da Harvey Milk, il consigliere municipale di San Francisco e primo politico americano apertamente gay a venire eletto per ricoprire un ruolo pubblico, assassinato nel 1978 da un ex collega conservatore con cui si era scontrato più volte; a Matthew Shepard, lo studente 21enne morto a Fort Collins, in Colorado, dopo essere stato seviziato e lasciato legato per ore a una palizzata da due giovani del posto solo perché era gay. O ancora Seth Walsh, il 13enne morto suicida nel 2010, la cui vicenda ha scatenato un movimento d’opinione che ha portato anche il presidente Barack Obama a prendere posizione contro il bullismo omofobico
La strage di ieri ha rivelato che l’odio nei confronti dei gay può trovare nuova linfa anche in una interpretazione strumentale dell’Islam. L’attacco contro il Pulse arriva nelle settimane in cui in molte città degli Stati Uniti — come dell’Italia e del mondo — si celebra il momento più iconico nella storia del movimento lgbt statunitense: la rivolta di Stonewall. Era l’una di notte del 28 giugno 1969 quando la polizia entrò nella Stonewall Inn, un localaccio gestito dalla mafia nel Greenwich Village di New York. All’epoca era vietato servire alcol agli omosessuali, accusati di condotta «disordinata» per il solo fatto di esistere, e i raid erano all’ordine del giorno. Quella notte però gli avventori della Stonewall Inn reagirono per la prima volta contro la polizia, dando il via a una rivolta che sarebbe durata sei giorni. Il movimento lgbt era uscito allo scoperto e rivendicava il diritto alla propria differenza, nutrendosi della nuova cultura degli Anni 60 e 70 con la sua rivendicazione delle libertà sessuali. Dopo qualche anno, nel 1973, l’Apa (l’Associazione degli psichiatri americani) dichiarava all’unanimità «che l’omosessualità di per sé non costituisce necessariamente un disordine psichiatrico»: il primo passo verso il processo di depatologizzazione che si sarebbe compiuto negli Anni 90.
Ma è stata l’epidemia di Aids a dare un profilo politico al movimento lgbt: la comunità gay, lasciata sola dal resto della società americana (l’attivista e commediografo Larry Kramer rimprovera al presidente Ronald Reagan di aver pronunciato la parola Aids solo nel 1987, sei anni dopo l’emergere dei primi casi) fu costretta a organizzarsi, a rendersi visibile e a trovare un’identità comune.
Le grandi battaglie per i diritti civili sono figlie anche di quella «rivoluzione»: a cominciare dalla sentenza della Corte Suprema che nel 2003 eliminò il divieto di sesso tra gay ancora in vigore in Texas e in altri tredici Stati, a quella del giugno 2015 che ha riconosciuto il diritto degli omosessuali a sposarsi.
Oggi che i coming out famosi sono all’ordine del giorno a Hollywood come nello sport e che il voto della comunità gay e lesbica influenza l’esito delle elezioni presidenziali, l’omofobia può sembrare scomparsa per sempre. Ma non è così.
«La grande maggioranza degli americani accetta le persone lgbt ed è a favore del matrimonio egualitario, ma ci sono ancora molti crimini d’odio contro la nostra comunità — spiega James Esseks, avvocato e leader della American civil liberties union—. E 28 Stati su 50 non hanno leggi che impediscono di licenziare qualcuno sulla base del suo orientamento sessuale».
Tra i cittadini in fila per donare il sangue ieri non c’erano gay: la legge americana lo vieta ancora a quelli sessualmente attivi.
Elena Tebano
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