Giovanni De Luna: «Pd al capolinea ma M5S non è la risposta»

by Luca Fazio, il manifesto | 22 Giugno 2016 9:24

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Intervista. Secondo il professore di storia contemporanea all’università di Torino, Giovanni De Luna, la giunta di Piero Fassino era valida però non ha funzionato la trasformazione da una dimensione fordista inclusiva all’idea di un città della cultura da cui molti cittadini si sono sentiti esclusi. “A Torino il problema non è la miseria ma Appendino è stata brava ad intercettare una serie di stratificazioni sociali che si sono sentite ai margini”

Giovanni De Luna, 73 anni, insegna storia contemporanea all’università di Torino. Figura di intellettuale non militante ma sempre attento al dibattito politico, è autore di numerosi saggi sulla storia del Novecento, in particolare sul fascismo e la Resistenza. Gli abbiamo chiesto di leggere il voto che ha sconvolto il panorama politico italiano, a cominciare dalla clamorosa sconfitta di Piero Fassino sconfitto al ballottaggio da Chiara Appendino.

Professor De Luna, come spiega quanto successo a Torino? Se lo aspettava?

Non me l’aspettavo. Chiara Appendino di suo ha che non rappresenta il grillino tipo, non ha fatto una campagna elettorale aggressiva e ha assunto un basso profilo mediatico. Ha proposto un’immagine rassicurante e ha funzionato. Altri fattori sono stati decisivi. La sua appartenenza alla borghesia torinese tradizionale non ha spaventato l’elettorato, ha lavorato per la Juventus e questo significa essere dentro a una Torino di un certo tipo. Non corrisponde all’identikit di una rivoluzionaria. E’ stata brava ad intercettare una serie di stratificazioni sociali che si sono sentite escluse. Credo che le giunte di centrosinistra degli ultimi 23 anni siano state valide perché hanno trasportato Torino da una dimensione fordista a quella culturale. Il problema è che il modello fordista era inclusivo, i quartieri di Torino erano operai e tutta la vita della città si plasmava su quel modello, le persone puntavano la sveglia alla stessa ora. La sostituzione di quella dimensione con il “modello culturale” però non ha funzionato. Bisogna ammettere che bisogna essere capaci se si riescono a portare un milione di persone al museo egizio, però questa efficacia non ha avuto e non ha la forza di un modello inclusivo. Ci vuole qualcosa in più, ci vuole la politica.

Appunto. Si andava dicendo che Piero Fassino aveva governato bene. Il voto però ha smentito clamorosamente questa sorta di autocompiacimento. Non è semplicistico attribuire la sconfitta a un generico voto di protesta?

C’era un forte nucleo di verità in quell’autocompiacimento. Torino in questi venti anni è stata governata da una sorta di casta, ma non era una casta parassitaria. Però è vero che questa casta ha escluso tutta una parte di cittadini. C’è stato un voto rancoroso che esprime mugugni e frustrazioni, c’è poi stato il voto di chi si è sentito escluso dalla parte buona della città. Tutti oggi parlano di periferie, ma intendiamoci: le periferie torinesi non sono come le banlieues francesi. In quei luoghi c’è un benessere che non si è tradotto in qualità della vita, quelli sono soprattutto luoghi tristi.

Su la Repubblica l’ex sindaco ha detto che quando un pensionato guadagna 400 euro al mese e deve mantenere un figlio disoccupato va a finire che vota Grillo. Lui però è un dirigente del partito che governa, forse si è accorto con qualche anno di ritardo del disagio sociale che affligge una parte dei cittadini. Appendino ha detto vivo in una città dove ci sono le code ai musei e le code davanti alle mense per i poveri. Forse è questo il punto.

Il problema a Torino non è la miseria, non c’è emarginazione sociale. Ma è vero che nelle periferie non si sono servizi per i cittadini, non ci sono biblioteche. Ci sono quartieri con casermoni a stretto contatto con i campi rom e in quei luoghi è cresciuto un risentimento incredibile. Sono persone che hanno comparato quelle case negli anni ’60 e ’70, non ci sono sacche di indigenza, è la qualità della vita che è desolante. Sul Movimento Cinque Stelle voglio essere chiaro, a me questa cosa ricorda le origini della lega, gli umori che asseconda sono gli stessi. E’ una mutazione genetica delle forme della rappresentanza politica, io sono un uomo del Novecento.

Fassino si ostina a parlare di antipolitica. Però il percorso di Chiara Appendino – e anche di Virginia Raggi – dice l’opposto. Sono due giovani donne che cinque anni fa sono entrate in consiglio comunale e oggi sono diventate sindaco.

Non direi antipolitica, quella del M5S è una forma diversa di organizzazione politica. Chiara Appendino ha la sua forza nella militanza, negli ultimi cinque anni ha fatto politica ininterrottamente, i grillini hanno riscoperto la militanza dal basso. D’altra parte il Pd ormai si è ridotto a una sorta di federazione di feudi tenuti insieme dalla gestione del potere. Non c’è dubbio che il segreto del loro successo sia la riscoperta del porta a porta. Ma è sui loro valori di riferimento che ho molte perplessità. Lo devo ammettere, per me è una ferita sapere che molti miei amici li abbiano votati.

Lei ha sostenuto Fassino dicendo “sono perplesso rispetto ai movimenti come il M5S che azzerano il passato negandolo in nome di un nuovo senza forma e sostanza”. Però è innegabile che il profilo di Chiara Appendino abbia tratti in comune la sinistra. A cosa si riferisce quando parla di passato negato?

Era una frase estrapolata. Quando dico che dobbiamo rifondare un patto con la memoria intendo dire che bisogna decidere cosa dobbiamo tenere e cosa dobbiamo buttare del nostro passato. In questi ultimi venti anni, Costituzione, Resistenza e antifascismo vengono sbandierati solo in chiave elettorale e niente più, mentre si sono moltiplicate in maniera patologica le commemorazioni di tipo vittimario. E loro sono intrinsechi a questo modo di ragionare. Tra i loro santi laici non ce n’è uno che abbia a che fare con la Resistenza, però ci sono tutte le vittime della mafia e le vittime del terrorismo, che poi finiscono per essere tutte uguali.

Non è che la sinistra sia sfuggita a questo paradigma vittimario.

Certo, non riguarda solo i cinque stelle. Ma voglio credere che per la sinistra alcuni eventi fondativi possano essere ancora il terreno per ricostruire una storia condivisa.

Il Pd, in tutte le grandi città, si afferma solo nelle zone dove abitano i cittadini benestanti. Come giudica questa incapacità di “creare popolo”?

Di sicuro questo è l’approdo di un percorso lunghissimo. Penso a Togliatti quando vuole allearsi con De Gasperi, al compromesso storico, o a D’Alema che attraverso la bicamerale voleva riformare la Costituzione con Berlusconi… continuando a inseguire il tuo avversario va a finire che il tuo avversario si sostituisce al tuo partito. Matteo Renzi è solo il prodotto finale di una lunga storia. Il Pd, con totale disinvoltura, considera il mercato come l’unico mondo possibile. Si sono tuffati in questa realtà.

Un processo irreversibile?

Ho l’impressione che il Pd sia arrivato al capolinea di una lunga stagione politica. Per tornare a Torino, guardiamo a Piero Fassino: anche lui non ha saputo creare una nuova classe dirigente, quella esistente proviene ancora dal vecchio Pci e i nuovi politici sono agghiaccianti dal punto di vista della loro pochezza. Detto questo, continuo a pensare che il Movimento Cinque Stelle sia una risposta sbagliata.

Il clamoroso voto di Torino, che è la città del lavoro per eccellenza, la città del movimento operaio, la culla della Resistenza e molto altro ancora, non dice forse che per la sinistra potrebbe essere finita una storia? Secondo lei c’è ancora spazio per una forza non residuale di sinistra in Italia?

Io continuo a credere che sinistra e destra, prima che due formazioni politiche, siano soprattutto due dimensioni esistenziali. Ci sono due Italie che per quasi un secolo si sono confrontate e scontrate duramente e questa tensione c’è sempre, i bacini naturali di riferimento di queste dimensioni esistenziali ci sono sempre. Questo è un discorso che vale per la sinistra ma anche per la destra, in questa fase storica la destra è spappolata politicamente ma l’identità comunque c’è e rimane ancora forte.

E’ una lettura che lascia spazio a qualche speranza oppure significa che la “sinistra” dovrà restare alla finestra ancora per un paio di generazioni?

Non lo so, e non è detto, nella storia e in politica agiscono meccanismi di rigenerazione anche rapidi. Guardiamo quello che è accaduto in pochi anni con il Movimento 5 Stelle, è un esempio. Il meccanismo dipende anche dalle congiunture che si attraversano, per questo non me la sento di dire che sia una storia finita. Se poi mi si viene a parlare di quegli embrioni organizzativi che si stanno muovendo alla sinistra del Pd, allora sì, mi viene da dire che quella sia proprio una storia finita.

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