Giochi navali
WASHINGTON L’Us Navy ha sei strike groups in azione. Sei portaerei con le unità di scorta dispiegate dall’Asia all’Europa, con ben due nel Mediterraneo, la Truman e la Eisenhower chiamate a sferrare raid in Siria-Iraq. Non accadeva da tempo e non accade per caso: troppe sfide. Lo scontro con i russi, la sfida con i cinesi, la guerra all’Isis hanno spinto Washington a dare l’ordine di «avanti tutta».
Grande l’attività nella parte orientale. Due sottomarini nucleari, lo Springfield e il Newport (in rientro), di solito invisibili si sono fatti vedere ovunque, presenze documentate da foto ufficiali, con l’attracco a Limassol o il carico di frutta siciliana imbarcato ad Augusta. Hanno mostrato la bandiera e il profilo nero. Molto lavoro a Akhrotiri (Cipro) dove americani e inglesi hanno una stazione d’ascolto integrata nel sistema Nsa.
Traffico nella base di Souda Bay, a Chania, Creta. A pochi chilometri da dove i turisti si tuffano in mare decollano gli aerei per l’intelligence americana diretti in Libia. Almeno un paio. Sempre in questa insenatura ha gettato l’ancora la Ocean Trader. Vista da lontano pare un traghetto, osservata da vicino è un avamposto galleggiante delle forze speciali statunitensi. La sua presenza è stata collegata al quadrante libico: i commandos sono pronti ad unirsi a quelli già attivi nel paese nord africano. Arrivano a Misurata e Bengasi a bordo di velivoli provenienti dalla Germania e, a volte, dall’Italia. Catania, Pantelleria, Trapani, sono i punti d’appoggio per le missioni di ricognizione condotti da piccoli aerei pieni di diavolerie. Seguono i terroristi sui monti Chambi o nella regione di Kasserine, in Tunisia. Fanno la stessa cosa nella vicina Libia. Ruolo identico per i droni statunitensi schierati a Sigonella, alcuni dei quali armati per incenerire i jihadisti e dare una copertura alle unità d’elite. Mimetizzati agiscono militari italiani, francesi, inglesi. La nostra Marina veglia con i sottomarini e una task force consistente.
Dalla Gran Bretagna partono voli di training (ma anche d’attacco) dei caccia F15E che filano fino in Nord Africa mentre di recente sono arrivati i B 52. Altri sei superbombardieri li hanno mandati in Qatar. Muscoli e missili da scaricare sul Califfato, al tempo stesso un messaggio forte diretto a Mosca. È come se tracciassero con le loro traiettorie delle aree di influenza. Non è una supposizione ma il pensiero affidato ai media da alti funzionari — anonimi — pronti a rimarcare l’avviso rivolto al Cremlino. E lo fanno guardando quanto accade a ridosso della Siria.
I russi hanno a disposizione i porti siriani di Tartus e Latakia, poi la nuova base di Hemeimin e una in costruzione a Palmira. Strutture per il contingente mandato a sostenere Assad, un dispositivo terrestre e aeronavale. È lo scudo missilistico che segna a sua volta il «cortile» di Putin e tiene lontano i turchi. Inoltre tutela la flottiglia che rifornisce costantemente il regime di Damasco partendo dal Mar Nero. Lo show russo va in scena ogni giorno, sottolineato da esercitazioni a fuoco e azioni vere declamate dai portavoce ufficiali. L’Orso è tornato in Medio Oriente, vuole restarci.
La prova di ciò è nella tensione continua al confine con la Turchia. Ankara non osa più mandare i suoi caccia verso il confine con la Siria perché sa che potrebbero essere abbattuti. Sotto pressione — anche per le vicende interne intrecciate al terrorismo — ha chiesto solidarietà all’Alleanza offrendo in cambio la pista di Incirlik, da dove si alzano droni e A 10 impegnati nella caccia ai militanti neri.
La Nato, pur sospettosa dell’ambiguità di Erdogan, ha risposto con rassicurazioni, ha schierato apparati anti-aerei: gli ultimi ad arrivare quelli italiani, dislocati nel settore meridionale. E visto che il Califfo non dispone di jet è facile comprendere quale sia la minaccia temuta e i bersagli da seguire sui radar.
Non è finita. Come ormai da tempo, gli occidentali mandano navi in Mar Nero, di fatto un grande «lago» che bagna anche la Russia. Attualmente incrocia il cacciatorpediniere USS Porter, una visita prevista ma usata da Mosca per l’ennesimo monito: «Siamo pronti a rispondere».
Guido Olimpio
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