La Giornata mondiale dell’ambiente è organizzata, come ogni anno, dall’Unep, il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente. Viene celebrata dal 1972 e stimola regolarmente dibattiti sulla protezione dell’ambiente, la qualità di vita delle popolazioni e la salvaguardia degli equilibri ecologici del pianeta. Quest’anno, l’Unep ha fissato un elenco di punti sensibili su cui è necessario compiere, il prima possibile, uno sforzo importante: la lotta contro la distruzione dello strato di ozono, la lotta contro la deforestazione, la preservazione della qualità delle riserve idriche e la lotta contro la desertificazione e la siccità. È opportuno osservare che le ultime tre priorità riguardano principalmente Paesi in via di sviluppo e in una situazione di stress idrico. In compenso, lo slogan scelto per il 2016 è abbastanza maldestro («Sette miliardi di sogni. Un solo pianeta. Consumiamo con moderazione »), perché si colloca nel quadro di un pensiero dominante che sembra ignorare la miseria, le carestie, la malnutrizione, la mortalità infantile e via discorrendo.
La Giornata mondiale dell’ambiente resta comunque un momento importante per la riflessione dell’opinione pubblica sul tema della salvaguardia del pianeta. Questa riflessione «planetaria» non era in primo piano nel 1972, nemmeno in occasione della conferenza di Stoccolma. L’evoluzione dei mezzi di comunicazione elettronici che vediamo oggi ha cambiato considerevolmente le cose: ormai non c’è più luogo al mondo in cui la difesa della «natura» non assuma una dimensione globale. In effetti, dopo la Conferenza intergovernativa di esperti sulle basi scientifiche dell’utilizzazione razionale e della conservazione delle risorse della biosfera, che si tenne a Parigi nel 1968 e dove fu usata per la prima volta l’espressione «astronave Terra», il legame fondamentale tra locale e globale è stato integrato nelle pratiche e nel pensiero della maggior parte degli individui. Certo, esistono ancora nel mondo luoghi dove gli esseri umani più poveri o più sfruttati non hanno ancora potuto accedere a una riflessione planetaria, ma ogni giorno si registrano progressi da questo punto di vista.
Le Giornate mondiali dell’ambiente giocano un ruolo importante in questa presa di coscienza. Nel 1983, l’Assemblea generale delle Nazioni unite creò la Commissione internazionale per l’ambiente e lo sviluppo. La direzione fu affidata alla premier norvegese dell’epoca, Gro Harlem Brundtland. Il suo straordinario lavoro sfociò nella conferenza di Rio de Janeiro (3-14 giugno 1992). Centosettantanove Stati erano rappresentati; 750 organizzazioni non governative e 17 mila delegati da 170 Paesi presero parte a quello che fu ben presto ribattezzato «il vertice della Terra». Fu riconosciuto il «principio di precauzione » per la protezione dell’ambiente. Inoltre, venne ribadito un concetto che stava particolarmente a cuore alla commissione presieduta dalla Brundtland: la pace, lo sviluppo e la protezione dell’ambiente sono interdipendenti e indissociabili e «gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo durevole». Si tratta di un progresso etico e intellettuale di grande importanza nella storia dell’umanità.
Un secondo documento, l’«agenda 21», fissava gli obbiettivi dello sviluppo durevole in vista del XXI secolo. Per raggiungerli, l’Onu stimava che sarebbero serviti 125 miliardi di dollari l’anno fino al 2000, una somma equivalente più o meno al 13 per cento delle spese militari effettuate ogni anno nel mondo. I Paesi sviluppati non presero alcun impegno di spesa. Quest’ultimo punto è purtroppo esemplificativo della fragilità degli accordi internazionali sull’ambiente: non sono vincolanti. Solo un’autorità sovranazionale dotata di un immenso potere giuridico e politico potrebbe costringere gli Stati recalcitranti a mantenere le loro promesse. Sappiamo che gli Stati Uniti giocherebbero volentieri questo ruolo, ma è auspicabile? Dopo Rio, sono state organizzate altre conferenze internazionali dell’Onu incentrate sulle relazioni fra ecologia globale e sviluppo durevole: la conferenza del Cairo sulla demografia mondiale nel 1994, la conferenza di Pechino sulle donne nel 1995 e la conferenza di Kyoto sui cambiamenti climatici nel 1997. Il protocollo di Kyoto puntava a una riduzione a livello mondiale del 5,2 per cento entro il 2010 (prendendo come base di riferimento il 1990): il bilancio è stato catastrofico, con un aumento del 40 per cento delle emissioni di anidride carbonica tra il 1997 e il 2016. All’inizio degli anni 90, tuttavia, non c’era ancora consenso sulla causa del riscaldamento del pianeta. I sostenitori di un riscaldamento naturale si contrapponevano a quelli che lo imputavano, in parte, alle attività umane.
La prima Conferenza delle parti annuale (Cop1) si tenne a Berlino nel 1995. Si trattava all’epoca di istituire un dialogo internazionale fra gli Stati firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). La prossima Conferenza delle parti (Cop22) si terrà a Marrakech nel 2016 per approfondire l’accordo di Parigi. Ma sono già previste altre tre conferenze da qui al 2019.
Ai nostri giorni, non esistono più reali divisioni all’interno della comunità scientifica sul problema del riscaldamento globale: una parte del riscaldamento in questione (quanta, ancora resta da stabilire) è verosimilmente di origine «antropica »; i climatologi hanno acquisito l’intima convinzione che la specie umana ha un’influenza percettibile sul clima. I dibattiti vertono semmai su una serie di questioni di metodo. La Giornata mondiale dell’ambiente potrebbe essere l’occasione per riflettere sul fatto che gli esseri umani non sono in contrapposizione con la «Natura», ma ne sono un prodotto e la trasformano. Siamo di fronte a un nuovo progresso del pensiero e dell’azione: ci stiamo rendendo conto che gli attacchi all’ambiente sono crimini contro l’umanità.
( Traduzione di Fabio Galimberti)
* Pascal Acot, filosofo e storico della scienza, è ricercatore al Cnrs di Parigi dal 1976. È tra i massimi esperti di ambiente e catastrofi climatiche
Lembo: “Nel 2012 la Giornata mondiale dell’acqua si celebra solo a parole e proclami generici, senza mettere in atto impegni precisi per la concretizzazione del diritto. E in Italia governo e Parlamento si rifiutano da dare seguito alla volontà popolare”