Bangladesh, quasi duemila arresti per terrorismo

Bangladesh, quasi duemila arresti per terrorismo

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L’ondata di omicidi mirati di «miscredenti», atei, blogger, attivisti lgbt non accenna diminuire in Bangladesh dove venerdi è stato ucciso Nitya Ranjan Pandey, di 60 anni, un volontario che lavorava in un monastero hindu nel distretto di Pabna, cinque ore di macchina a Ovest della capitale. Daesh ha rivendicato attraverso l’agenzia Amaq, monitorata dal Site Intelligence Group.

Nel giro di un mese, tre appartenenti a minoranze sono stati uccisi: un sacerdote hindu, Ananda Gopal Ganguly, di 70 anni, il proprietario cristiano di un negozio – Sunil Gomes di 60 – e, a metà maggio, un monaco buddista di 75, Mongsowe U Chak, ucciso nel tempio dove viveva solo nel Sud del Paese. Il nuovo omicidio avviene mentre già la polizia del Bangladesh ha messo in piedi una caccia agli islamisti che avrebbe già visto fermi e arresti di almeno 1800 persone. La caccia all’uomo è mirata soprattutto a due gruppi fuori legge – Jamaat-ul-Mujahideen Bangladesh (Jmb) e Ansarullah Bangla Team (Abt) – ma anche agli attivisti di un partito legale, la Jamaat-e-Islami, la più vasta e importante organizzazione islamista del Bangladesh. La caccia è in realtà cominciata in grande stile dopo assassinio, alcuni giorni fa, di Mahmuda Aktar, la giovane moglie di un investigatore di polizia impegnato nelle indagini sui movimenti jihadisti che colpiscono attivisti e minoranze. Mahmuda è stata uccisa a Chittagong, la seconda città del Bangladesh, davanti al figlioletto di sei anni. Sarebbe stata giustiziata proprio per il lavoro del marito, legato alle indagini che cercano di capire chi è dietro all’uccisione di laici e sacerdoti, minoranze e omosessuali, blogger e attivisti. In particolare il marito indagava sul Jmb, gruppo islamista messo al bando nel 2005 e che vorrebbe fare del Bangladesh un Paese governato dalla sharia. Si ispirerebbero ai talebani afgani e avrebbero simpatie per Al Qaeda anche se il 10 giugno Ansar al-Islam (Aai) – la “divisione” bangladese di Al Qaeda nel Subcontinente indiano (Aqis), costola di Al Qaeda in Asia sudorientale – ha emesso un comunicato di condanna dell’azione ai danni della donna. Un elemento che complica il quadro tra gli islamisti stessi, divisi tra simpatie qaediste e ammirazione per Daesh, in un reticolo di sigle e secessioni interne.

Il governo reagisce come sempre, col pugno duro da un lato e con la negazione che Daesh esista dall’altro anche se, ricordava ieri Al Jazeera, su una trentina di attentati quest’anno (nel mirino anche le minoranze sciite o altre ritenute apostate dagli islamisti) Daesh ne avrebbe rivendicate 21 e Al Qaeda la maggior parte delle restanti. Daesh ha anche rivendicato l’assassinio di stranieri come nel caso degli italiani Cesare Tavella e Piero Parolari, quest’ultimo salvatosi per miracolo.

Per il governo laico della premier Sheikh Hasina, la responsabilità è comunque di gruppi locali e non di emanazioni del Califfato. Sui gruppi fuorilegge il governo ha scelto il pugno di ferro da tempo: sui militanti di Abt c’è una taglia di 23mila dollari e recentemente cinque sospettati di appartenere a Jmb sono stati uccisi in scontri a fuoco con le forze dell’ordine mentre sei dei suoi leader sono stati impiccati nel 2007 dopo che l’organizzazione aveva messo a punto, nel 2005, l’esplosione in un solo giorno di 500 bombe, il che rende bene l’idea della loro capacità logistico organizzativa. Ma il pugno duro non sembra sufficiente né è detto che l’ondata di quasi duemila arresti possa fermare quella che sembra una deriva che consente comunque a questi gruppi di colpire indiscriminatamente i loro bersagli.

Quanto ciò significhi una forza reale di Aqis o di Daesh resta da vedere. I due gruppi si guardano in cagnesco – come in altre aree del pianeta – anche se hanno progetti vagamente simili in cui vorrebbero avere la supremazia nel movimento islamista. Il problema vero resta forse la galassia attorno alla Jamaat, nata nel 1941 quando esisteva ancora l’India britannica e che era contraria sia alla Partition sia alla Muslim League, allora la più importante organizzazione musulmana. Oggi è un partito legale anche se nel 2013 la Suprema Corte ha cancellato la sua registrazione come partito in quanto contraria all’indipendenza del Paese del 1971.



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