by Antonio Sciotto, il manifesto | 1 Giugno 2016 9:44
Decisamente non si poteva arrivare al giorno delle elezioni con la bomba sociale di 3 mila licenziamenti, meglio anzi ribaltare il tavolo e potersi giocare, nel rush finale verso il 5 e il 19 giugno, il salvataggio di centinaia di famiglie: e così lo scatto risolutivo nella vertenza Almaviva, che due sere fa sembrava definitivamente incartata, con i lavoratori scesi in strada a occupare via Veneto, lo ha dato il nuovo ministro allo Sviluppo, Carlo Calenda, uno degli ultimi alfieri acquisiti alla scacchiera del premier Renzi. Secondo fonti del sindacato presenti alla trattativa che si è prolungata per tutta la notte di martedì, Calenda avrebbe trattenuto in un faccia a faccia nel suo ufficio l’ad di Almaviva Contact, Andrea Antonelli, per ben 3 ore, convincendolo a cambiare le carte in gioco e a revocare le 2988 procedure di mobilità già avviate. Facendogli intravedere in prospettiva, evidentemente, «l’incremento dei volumi di lavoro» – parola dell’accordo siglato alle 8 di ieri mattina – e il «rilancio di Almaviva Contact sul mercato italiano» (virgolettato di una nota aziendale).
Retroscena a parte, è la stessa Almaviva a spiegare che «ruolo decisivo» nella vicenda lo ha avuto il ministero, nelle persone della viceministra Teresa Bellanova e di Calenda, che si è impegnato «ad approfondire fin dai prossimi giorni le problematiche più rilevanti che coinvolgono l’azienda e l’intero settore». Nulla di nuovo in queste promesse: già dai primi allarmi lanciati da Almaviva, dal 2012 in poi, i vari ministri si erano impegnati a riordinare il settore dei call center, minato dagli appalti al massimo ribasso, dalle delocalizzazioni e in ultimo anche dall’uso distorto degli incentivi al Jobs Act. Cosa Calenda abbia aggiunto di originale non è dato sapere, ma fatto sta che Almaviva si è convinta in una sola notte di poter passare dalla fase di ripiego in cui si trovava, con perdite milionarie e 2988 esuberi strutturali, a una di «rilancio». Proponendo al sindacato un piano che Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom alla fine non hanno dovuto far altro che sottoscrivere.
L’accordo prevede 18 mesi di ammortizzatori, divisi in due parti: 6 mesi di solidarietà dall’1 giugno, al 45% per Palermo e Roma e al 35% a Napoli, che equivalgono, spiega la Slc Cgil, alla gestione di 2400 esuberi (ridotti subito, quindi, rispetto ai 2988 iniziali). In caso di commesse lavorate su più siti, i picchi di attività non verranno svolti con gli straordinari nei centri non toccati dalla solidarietà (Rende, Catania e Milano), ma verranno passati a quelli dove di fatto vengono collocati gli esuberi, per moderarne l’impatto.
Ancora, si tutela un altro asset “renziano”, ovvero gli 80 euro: l’azienda assicura, dando la disponibilità a integrare con risorse proprie, che nessun lavoratore scenderà comunque sotto il reddito annuo di 8 mila euro, necessario alla maturazione del bonus governativo.
Trascorsi i 6 mesi, ne scattano altri 12 di cassa straordinaria, quella già disponibile per il settore: un compromesso lo hanno dovuto fare sia l’azienda (non voleva andare oltre i primi 6 mesi, proposta ribadita ancora fino al momento in cui si stava per rompere), che i sindacati (puntavano ad ammortizzatori più lunghi e solidi, di almeno 36 mesi, da creare ad hocestendendo quelli della logistica e della grande distribuzione). In questi 12 mesi Almaviva si impegna «a ridurre gradualmente – su base trimestrale e in misura non inferiore al 5% – il ricorso alle misure di sostegno al reddito attraverso un incremento dei volumi di lavoro, fino al raggiungimento del 20%». In soldoni, trascorso un anno e mezzo, gli esuberi si vedranno ridotti da 2400 a 1100.
Il tutto è corredato dall’impegno delle Regioni a stanziare fondi per l’aggiornamento dei lavoratori, e da quello del sindacato a concordare nuove modalità di organizzazione «in merito alla gestione della qualità, della produttività e dell’analisi del contatto a livello individuale». Un recupero di “competitività” a cui si dovrebbe sommare il promesso riordino del settore, o comunque – probabilmente – il concretizzarsi di nuove commesse: magari a fronte dell’impegno di svolgerle in Italia e a non concorrere al massimo ribasso. Quella che può garantire il ministero è una stretta sui bandi pubblici o para-pubblici, come è avvenuto di recente con i passi avanti fatti dalla commessa di Poste.
In tutto questo, Almaviva non si è impegnata comunque nuovamente a non delocalizzare, come è stato negli ultimi anni: fin dalla procedura di licenziamento di marzo, l’azienda si è ritenuta svincolata, e ieri non si è concordato nulla di nuovo. Quindi è sempre possibile che cerchi “polmoni” di risparmio in altri paesi Ue dove il lavoro costa meno, ma dove è ugualmente obbligatorio applicare le norme sulla gestione dei dati sensibili: la Cgil aveva rivelato tempo fa che si starebbe sondando il terreno in Romania.
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