by Marco Vittone, il manifesto | 21 Giugno 2016 9:36
Il voto di domenica ha spaccato in due la città: il nucleo che si estende dal centro alla collina solidale con il sindaco uscente Piero Fassino, abbracciato da un mantello di diverso colore, in questo caso a Cinque Stelle. Giovanni Semi insegna Sociologia delle culture urbane e Sociologia generale all’Università di Torino, tra i suoi testi più noti Gentrification. Tutte le città come Disneyland? (Il Mulino, 2015) su come riqualificazioni artificiose di quartieri, attraverso il risanamento di aree popolari, il più delle volte con interventi di speculazione immobiliare, provochino l’espulsione degli abitanti originari, a favore di classi più agiate.
Professor Semi, si aspettava questo ribaltone clamoroso?
Di questa entità in realtà no, avevo scommesso con un amico che avrebbe vinto di poco il Pd. La cartina geografica del voto è chiara, segnala due parti di città che, da tempo, non si parlano. E tutto ciò non può essere semplicisticamente letto come un voto di destra o “contro”, ma con una parte maggioritaria della città che non si rispecchia più nelle cene in bianco e nelle feste del jazz ma chiede discontinuità. E lo fa in modo anche consapevole, non si possono ridurre decine di migliaia di preferenze a voto di protesta contro il governo in carica. È come se si dicesse che non abbiano legittimità politica: emerge una richiesta di rappresentanza e di un modello di sviluppo locale diverso.
È un passaggio storico, Torino è stata governata per 23 anni dal centrosinistra.
E lo ha fatto con successo, se nelle ultime settimane quel consenso è crollato è un fatto inedito. Il centrosinistra torinese ha preso dagli anni Novanta in poi una direzione chiara e netta. Il potere, però, logora; il mandato di Fassino è stato stanco e i suoi assessori non hanno brillato per capacità creativa. Il deficit di bilancio ha determinato un impoverimento nella gestione delle risorse, una situazione che ha fatto implodere dall’interno la coalizione. Al contempo, la città veniva da otto anni di crisi, con tassi di disoccupazione elevati.
Torino era la città fabbrica, da vent’anni si discute la sua riconversione, sembrava che la nuova via fossero la cultura e i servizi. L’amministrazione di sinistra hanno provato a pensarla come una Disneyland?
Sì, la via intrapresa è stata quella. Il governo ha scommesso su cultura ed eventi, in parte a effetti “Disneyland”: le piazze del centro destinate a manifestazioni di esclusivo consumo. L’opera di cambiamento ha allontanato le fasce più deboli. Il blocco sociale dei quartieri benestanti in queste elezioni ha fatto una scelta di “conservazione”. Il centro di Torino è, per gli affitti, più avvicinabile di quello di altre città italiane, ma per esempio nel caso del risanamento del Quadrilatero c’è stata una politica selettiva dei nuovi abitanti.
Qual è il grado di fattibilità del programma dei Cinque Stelle?
Al momento sono più orientati a mettere in discussione le linee guida dei governi precedenti, non è facile essendoci pratiche e relazioni consolidate da vent’anni. Non è chiaro se in questa fase la nuova giunta riuscirà a incidere su tematiche rilevanti come i posti di lavoro e il welfare. Prerogativa che non è solo dell’amministrazione comunale. Impostare nuovi rapporti industriali con questa Fiat sarà difficile. Anche la rinegoziazione del debito richiede una posizione di forza, che ora i 5s non hanno. Sono scettico sulla capacità nell’immediato di cambiare la rotta. Dipenderà dalla reazione della città, in particolare rispetto alle sue associazioni di categoria o a chi ha quote di potere.
Il primo gesto è l’aut aut all’ex ministro Francesco Profumo dalla Compagnia SanPaolo.
Un gesto per rassicurare il proprio elettorato. Comunque coraggioso, denunciando il recente aumento di stipendio.
Una delle critiche al Movimento 5 Stelle è che raccoglierebbe il voto di destra e populista. Cosa pensa?
Ci sono due Cinque Stelle, uno a livello nazionale molto opaco nelle dinamiche interne e problematico rispetto alle categorie classiche destra-sinistra, e c’è un livello locale più autonomo, a Torino hanno un registro più di sinistra che non hanno altrove, probabilmente per la saldatura con il movimento No Tav.
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