Obama grazia l’Arabia saudita

Obama grazia l’Arabia saudita

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È davvero grande l’influenza dell’Arabia saudita e delle altre petromonarchie del Golfo sugli Stati Uniti. Solo così si spiega la scelta fatta da Barack Obama di far sapere, attraverso il direttore della Cia John Brennan, che non ci sono prove di un coinvolgimento dell’Arabia saudita negli attentati di al Qaeda dell’11 settembre 2001 contro gli Usa. Un passo fatto mentre le indiscrezioni trapelate sino ad oggi indicavano l’esatto contrario. La vicenda aveva fatto infuriare Riyadh al punto da spingerla a minacciare il ritiro di investimenti e di fondi dagli Stati Uniti per centinaia di miliardi di dollari.

Davanti alle telecamere di una tv saudita, al Arabiya, con sede negli Emirati, Brennan è arrivato a smentire un ex componente della Commissione d’inchiesta del Congresso americano, John Lehman, il quale il mese scorso aveva rivelato l’esistenza di un rapporto di 28 pagine, ancora secretate, con prove del sostegno ad al Qaida giunto da sei funzionari sauditi. Lehman, segretario della US Navy durante la presidenza Reagan, aveva sostenuto che 12 anni fa la commissione d’inchiesta sulle stragi fa aveva commesso un errore mancando di comunicare che funzionari di Riyadh facevano parte di una rete di sostegno agli attentatori delle Torri Gemelle. «Non c’è prova per affermare che il governo saudita come istituzione o alti responsabili sauditi individualmente abbiano sostenuto gli attacchi dell’11 settembre» ha detto il direttore della Central Intelligence Agency aggiungendo che «Negli ultimi 15 anni i sauditi sono entrati nel novero dei nostri migliori partner antiterrorismo».

È a dir poco sconcertante questa difesa ad oltranza degli alleati sauditi se tiene conto delle 3mila vittime dell’11 Settembre e degli ultimi sanguinosi attentati compiuti da militanti veri o presunti dell’Isis che più parti ritengono finanziato in parte da cittadini sauditi e di altre monarchie del Golfo, attraverso donazioni ad istituzioni islamiche wahabite e salafite. Parla chiaro la relazione annuale sul terrorismo diffusa nei giorni scorsi dal Dipartimento di stato. Il documento mette in evidenza che gli sforzi antiterrorismo degli alleati di Washington nel Golfo sono stati minimi e che Paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar e il Kuwait non hanno bloccato le linee di finanziamento alle organizzazioni terroristiche all’interno dei loro confini. I fondi per al Qaeda, Isis e altre organizzazioni radicali continuano ad essere raccolti in questi Paesi in molti modi, attraverso appelli sui social fino ai corrieri che sfruttano i pellegrinaggi alla Mecca per muovere grosse somme di denaro in contanti.

A proposito dell’istigazione all’odio religioso, il Dipartimento di stato punta l’indice contro Riyadh sottolineando che i libri di testo sauditi contengono riferimenti «sprezzanti e intolleranti» nei confronti dei musulmani sciiti e dei non musulmani. Riyadh aveva assicurato che le parti incriminate sarebbero state completamente rimosse entro il 2014. Prima aveva garantito entro il 2008 ma poi non è cambiato nulla. Stesso discorso per le stazioni televisive finanziate con fondi privati che continuano a trasmettere programmi che istigano all’odio settario e all’intolleranza. Qatar e Kuwait sono sulla stessa linea. I funzionari americani evidenziano come le “giurisdizioni permissive” di questi due Paesi abbiamo permesso sino ad oggi la raccolta di fondi per i gruppi terroristici in particolare per il Fronte al Nusra, il ramo siriano di al Qaeda. Le autorità del Kuwait non hanno mai processato un cittadino accusato del finanziamento di al Nusra. Quelle del Qatar hanno fatto altrettanto nei confronti di due cittadini Abd al Latif al Kawari e Saad al Kaabi responsabili di aver trasferito ingenti somme di denaro ad al Qaeda. Eppure Barack Obama al vertice per la lotta al terrorismo tenuto a Riyadh lo scorso aprile ha lodato gli sforzi dei petromonarchi che pure il Dipartimento di stato nega nel suo rapporto annuale.

A coprire le spalle ai sauditi non è solo l’Amministrazione Obama. Anche le Nazioni Unite preferiscono tacere e incassare finanziamenti. Riyadh ha minacciato di tagliare i fondi all’organizzazione se non fossero stati rimossi dalla lista nera dei gruppi che violano i diritti dei bambini nel conflitto in Yemen. Il Segretario generale Ban Ki-moon quindi ha ceduto, rimuovendo l’Arabia saudita dalla lista nera. L’ha definita una delle decisioni «più difficili e dolorose» che abbia mai preso ma, ha spiegato, «ha dovuto considerare la possibilità che milioni di altri bambini avrebbero sofferto in conseguenza del taglio dei fondi minacciato dall’Arabia saudita».



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