E la City commissionò i sondaggi segreti sul voto
Una sera di qualche giorno fa, un gruppo di banchieri e di manager di fondi speculativi di Londra si è riunito per valutare gli scenari in caso di Brexit. Erano invitati rappresentanti di Morgan Stanley, di altre grandi istituzioni globali e otto “hedge funds”, i protagonisti più aggressivi dei mercati finanziari. Il referendum del 23 giugno li sta obbligando a chiedersi come reagiranno se veramente una maggioranza dei britannici tra due settimane si pronunciasse per l’uscita dall’Unione europea.
Dopo cena, il piccolo gruppo ha svolto un sondaggio intorno al tavolo. La maggioranza dei manager dei fondi speculativi si è detta pronta a trasferire le basi operative a Dublino, se Londra si separasse dalla Ue. Per istituzioni come Morgan Stanley o Goldman Sachs è invece più complicato. Una banca con un bilancio da oltre mille miliardi di dollari è obbligata a risiedere in un grande Paese con un rating – un giudizio di solidità sui debiti – pari o superiore al proprio. In Europa sarebbe possibile migrare solo in Francia o in Germania, ma in entrambe la pressione fiscale sui banchieri è molto più alta che nella City.
Resta poi una domanda sulla quale oggi le banche sono ancora più disorientate: quanto bisogna credere ai sondaggi, che oggi sembrano rendere la Brexit più credibile? La sola certezza emersa in questi mesi è che l’industria dei rilevamenti di opinione è persino più instabile dei mercati finanziari. In meno di due anni non è riuscita a prevedere il netto “no” degli scozzesi nel referendum sulla secessione dall’Inghilterra, il voto in Canada e in Israele, senza contare la vittoria travolgente del “no” greco a un accordo con l’Europa, né la maggioranza assoluta dei Conservatori nelle elezioni britanniche del 2015.
In società europee frammentate secondo il reddito, l’istruzione e la familiarità con le tecnologie, i risultati dei sondaggi cambiano in base al modo in cui sono raccolti. Spesso è decisiva la capacità del committente di pagare. Dietro la recente impennata del fronte del “Leave”, i favorevoli a lasciare la Ue, potrebbe esserci (anche) la maggiore frequenza dei sondaggi in Rete. Sono quelli diffusi più spesso, perché sono i meno cari. Spesso li commissionano i grandi media indipendenti, sempre molto attenti ai costi. Negli ultimi due mesi, circa la metà di poco più di trenta sondaggi in rete ha prodotto maggioranze a favore della Brexit; in un terzo dei casi un orientamento contrario, mentre una volta su cinque è emerso un pareggio. Almeno sulla carta, non doveva andare così. Di solito sono raggiungibili su Internet elettori più giovani, istruiti, più spesso residenti nelle grandi città: esattamente il tipo di popolazione che tende a schierarsi una Gran Bretagna ancorata all’Unione europea. Il mezzo però distorce il risultato, perché per partecipare a un sondaggio in Rete bisogna essere abbastanza motivati da riempire un formulario e dare il proprio consenso all’utilizzo dei dati. E fra queste persone, come emerge anche dalla loro presenza su Facebook o su Twitter, i favorevoli alla rottura con l’Europa sono di più.
Ci sono poi i sondaggi al telefono fisso, un po’ meno numerosi perché chiamare almeno mille persone costa. Con questa tecnica meno del 20% delle consultazioni dà il fronte del “Leave” in vantaggio, mentre la tendenza che emerge è chiaramente a favore del “Remain”: restare nella Ue. Non dovrebbe andare così, neanche in questo caso: al telefono di casa vengono raggiunte più spesso persone più anziane, lontane dalle grandi città, più euroscettiche. Ma questi sondaggi limitano la possibilità di rispondere “non so”, quindi gli elettori tendono a preferire lo status quo.
È quest’incertezza che ha spinto alcuni grandi manager della City a commissionare anche un terzo tipo di sondaggi privati. Sono più affidabili, almeno in teoria, perché vengono effettuati di persona casa per casa. E poiché un pacchetto di rilevazioni di questo tipo costa da 100 mila sterline in su – in base alla frequenza – riescono a commissionarne quasi solo gli “hedge fund” e le grandi istituzioni finanziarie. Quest’ultimo tipo di sondaggi ha sempre prodotto una maggioranza a favore del Regno Unito dentro la Ue. Era di circa 55% a 45% fino a dieci giorni fa, poi il margine si è molto ristretto per poi riaprirsi. Ma nessuno oggi può giurare che queste stime siano meno sbagliate di tutte le altre.
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