by Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera | 10 Giugno 2016 9:55
Isis battuto e accerchiato nella sua roccaforte di Sirte. La Libia è a una svolta cruciale. Le milizie di Misurata, sostenute dai volontari arrivati da Tripoli sotto il controllo diretto del nuovo gabinetto di unità nazionale appoggiato dall’Onu e guidato dal neopremier Fayez al Serraj, avanzando da sud-ovest, nelle ultime ventiquattro ore sono riuscite a conquistare l’aeroporto di Sirte e penetrare nei quartieri occidentali.
Al loro fianco operano ben equipaggiate squadre di forze speciali britanniche e americane, che offrono intelligence, armi sofisticate e la copertura aerea, soprattutto tramite droni di nuova generazione. Tra le immagini dei quartieri liberati che i miliziani stanno diffondendo in rete ci sono anche quelle del famigerato incrocio di Zafarana, tristemente assurto alle cronache negli ultimi mesi poiché proprio qui i tagliagole jihadisti, generalmente dopo le preghiere del venerdì, compivano le loro sanguinose esecuzioni pubbliche. Decapitazioni, crocifissioni, torture di ogni sorta contro sospette «spie», cristiani, omosessuali, donne adultere, o più semplicemente civili accusati di non essere abbastanza «islamici». Sarebbe stato abbattuto il palco in ferro delle esecuzioni tra urla inneggianti ad Allah e grida di vittoria.
Le informazioni che giungono dal fronte sono però ancora confuse e per molti aspetti contraddittorie. Indefinito il numero delle vittime. Difficile distinguere tra realtà e propaganda, lo scenario libico è particolarmente vittima di false notizie diffuse e sbandierate come fossero oro colato. Eppure, almeno un fatto pare certo: l’Isis è in netta ritirata. Solo un paio di mesi fa la sua avanzata al cuore della Libia appariva inarrestabile, sino a minacciare le maggiori zone petrolifere e la stessa capitale. Ora non più. Anzi, i comandi di Misurata e i portavoce a Tripoli si mostrano sorpresi per la repentina rotta dei jihadisti. Le intelligence occidentali valutavano fossero ben oltre 5.000, circa l’80 per cento volontari arrivati dall’estero (per lo più tunisini, algerini, siriani, afgani, iracheni), attestati in questa che fu sino al 2011 la roccaforte indiscussa di Gheddafi.
Ci si aspettava una feroce resistenza con cecchini e attentati suicidi, bombe-trappola strada per strada, come a Ramadi, Falluja, Tikrit, i centri dell’Isis in Iraq. E invece la rotta sarebbe stata repentina. Pare siano state trovate armi abbandonate, oltre a veicoli, uniformi, telefoni cellulari e persino i resti di barbe e capelli tagliati. Ahmed Hadiya, responsabile dell’ufficio stampa di Misurata afferma che l’Isis è adesso «circondato» nel centro città. La marina militare inviata da Tripoli sostiene inoltre di controllare l’intera fascia costiera prospicente. I combattenti dell’Isis sarebbero adesso concentrati nei palazzoni immersi nel verde dello Ougadougou, il gigantesco centro congressi che Gheddafi volle erigere quale luogo di incontro tra la «sua» Libia e i Paesi alleati in Africa. Fonti locali aggiungono che anche il porto è ancora nelle loro mani. In verità, la parte più dura del combattimento potrebbe cominciare proprio adesso, contro gli irriducibili.
Ma cosa ha permesso al fronte pro Serraj di ottenere tale avanzata? La domanda è più che lecita. Ancora a metà aprile (due settimane dopo l’arrivo di Serraj a Tripoli da Tunisi), l’Isis aveva lanciato una forte offensiva catturando oltre 150 chilometri di deserto verso ovest, superando il villaggio di Abu Grein e lambendo persino le periferie orientali di Misurata. Tanto che nella città era stato imposto il coprifuoco notturno. A Tripoli rispondono ufficiosamente ringraziando l’aiuto anglo-americano. «Specialmente le teste di cuoio inglesi sono state determinanti», commentano gli osservatori locali. Per Serraj il successo militare potrebbe tradursi presto nella legittimazione politica che tanto cerca. Ha vinto anche la gara con il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte legato al governo di Tobruk, che a sua volta prometteva che sarebbe stato lui il primo liberatore di Sirte. Le sue truppe però sono ancora attestate a ovest di Bengasi.
Lorenzo Cremonesi
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