by Dario Di Vico, Corriere della Sera | 2 Giugno 2016 17:46
Due squadre di calcio della stessa città (Milano) che in parallelo vengono acquisite da capitali dello stesso Paese straniero (Cina) evocano la teoria del cigno nero del filosofo Nassim Taleb, l’evento raro e irripetibile del quale si può tentare di sfruttare il lato positivo. Le notizie sportive in realtà confermano una forte centralità di Milano nei programmi di investimento di Pechino in Europa, visto che finora in testa alla graduatoria ci sono i 7,4 miliardi di euro previsti per acquisire la Pirelli da parte di ChemChina. Ad ogni buon conto oggi sappiamo che il gruppo Suning (negozi di elettronica ma anche e-commerce) sta per entrare nel capitale dell’Inter, mentre un fondo cinese dovrebbe bissare nel Milan. In verità le due operazioni hanno gradi di maturazione molto diversi tra loro: i nerazzurri e i manager di Suning si sono visti più volte e in omaggio alla cultura del guanxi hanno creato quelle relazioni interpersonali che per l’appunto fanno parte del modello di business cinese. Per i rossoneri si sa che Silvio Berlusconi garantisce sulla bontà delle trattative, ma non si hanno notizie certe sui nomi dei possibili acquirenti asiatici, per ora schermati da intermediari americani. Sappiamo però che i cinesi vogliono primeggiare nel calcio mondiale perché secondo il presidente Xi Jinping il football crea valori patriottici e spirito collettivo, due ammortizzatori sociali da utilizzare per mitigare cambiamenti economici troppo rapidi. E il blitz con il quale di recente il gruppo Wanda ha comprato la Infront, la società di diritti televisivi domiciliata in Svizzera, è una dimostrazione che i cinesi si muovono come una squadra.
Le indiscrezioni sull’arrivo dei proprietari asiatici non stanno però generando entusiasmo in città. Anzi. Il candidato del Pd alla carica di sindaco Beppe Sala si è detto «non entusiasta» della vendita di Inter e Milan a gestioni «che rischiano di cambiare ogni due-tre anni e rendono difficile immedesimarsi, ho nostalgia dei tempi di Massimo Moratti». Un sentimento analogo è stato espresso sulla prima pagina della Gazzetta dello Sport , la Bibbia dei tifosi milanesi, da Luigi Garlando: «Pretendiamo da chi acquista un minimo sindacale di passione, un club secolare non è una fabbrica dismessa ma un album di famiglia e chi compra deve tenerne conto. Una piazza come Milano merita rispetto». Il caso però ci ha messo ancora del suo perché il nostro cigno nero si è palesato alla vigilia delle elezioni comunali, quelle che potrebbero rappresentare l’ingresso della comunità cinese nella vita politica italiana. È vero che durante le primarie del Pd molti milanesi di origine cinese si erano recati ai seggi generando tanta curiosità e altrettante polemiche per l’appoggio a Sala, ora però in vista del vero voto Associna, l’associazione delle seconde generazioni cinesi, ha imboccato una strada diversa. Con un video su YouTube ha invitato i giovani cinesi a votare il prossimo 5 giugno in nome della partecipazione e dei principi della democrazia occidentale. È un passo in direzione dell’integrazione ed evita di impostare la questione in chiave di meri rapporti lobbistici tra la comunità cinese e un singolo candidato. Associna sceglie invece di sostenere la partecipazione lasciando libertà di individuare il partito e il profilo più in linea con i propri valori e interessi. A sottolineare l’importanza di questa discontinuità ci sono i dati Istat secondo i quali tra gli alunni stranieri nati da noi i cinesi «si sentono italiani» meno degli altri: solo il 29,2% contro il 51,6% dei romeni o il 62,1% degli ucraini. Bassa anche la percentuale (28,1) di chi parla bene l’italiano mentre il 56,8% va normalmente a feste organizzate da nostri connazionali.
La somma di queste novità simultanee ci autorizza a dire che Milano può diventare uno snodo-chiave dei rapporti tra la Cina e Europa? Ex malo bonum ovvero dalla vendita delle squadre di calcio ne può venire un vantaggio economico all’intera città? Come racconta il rapporto annuale della Fondazione Italia-Cina, molto apprezzato da industriali e investitori, la «nuova Via della seta» passa dalle infrastrutture considerate da Pechino l’investimento strategico per antonomasia. Quindi, almeno per ora, è più importante comprare il Porto del Pireo che l’Inter. Ciò non toglie che l’Italia potrebbe balzare al primo posto nella classifica degli investimenti cinesi nel Vecchio Continente e potrebbe anche far valere la forza del suo soft power . Il nostro capitalismo «leggero» fatto di cibo, design e moda è in grande spolvero e la capitale è Milano. Se il calcio, principe del business dell’intrattenimento, riuscisse a creare un continuum con i settori citati, allora sì che la città dei Moratti e dei Berlusconi potrebbe aspirare a scalare le preferenze quanto meno degli ambitissimi turisti cinesi.
Dario Di Vico
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