by Lorenzo Salvia, Corriere della Sera | 1 Giugno 2016 9:40
ROMA La decisione l’ha presa diretta mente il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Sorprendendo non poco i ministri seduti attorno al tavolone rotondo di Palazzo Chigi. Niente via libera al decreto che introduce un freno all’uso disinvolto dei voucher, i buoni per i lavoratori a ore che secondo i sindacati rappresentano l’ultima frontiera del precariato. E che in questi anni hanno conosciuto un boom «sospetto» anche secondo il governo, visto che dai 500 mila buoni utilizzati nel 2008 siamo passati agli oltre 115 milioni dell’anno scorso.
Il testo era all’ordine del giorno delle riunione di ieri pomeriggio, i contenuti erano stati annunciati da settimane. Il terreno era stato preparato dall’annuncio del capo dello Stato Sergio Mattarella, che la settimana scorsa aveva sottolineato l’importanza di dire basta «all’uso improprio dei voucher». E invece, a sorpresa, è arrivato il rinvio. Con il risultato che, a questo punto, il decreto tornerà in Consiglio dei ministri almeno dopo il primo turno delle elezioni di domenica per i sindaci delle grandi città. Se non più avanti ancora.
Perché questa scelta? C’è un motivo strettamente politico e uno più di merito. Cominciamo da quello politico. In questi ultimi giorni di campagna elettorale il lavoro è tornato in cima all’agenda politica. Anche sui voucher la temperatura è salita. Il timore di Renzi è che la stretta sui buoni lavoro potesse essere considerata troppo soft, regalando spazio agli attacchi del Movimento 5 Stelle. Per capire meglio il perché bisogna scendere sul piano tecnico. Oggi l’impresa che usa i voucher non ha molti vincoli: li compra e poi li può usare entro 30 giorni. Punto e basta. Il decreto legislativo rinviato ieri dice che diventa obbligatorio comunicare all’Inps, via sms o email, il nome e il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione, almeno 60 minuti prima dell’inizio. Questo per evitare, almeno nelle intenzioni, che il buono acquistato rimanga nel cassetto. E venga «timbrato» solo in caso di problemi, come un incidente sul lavoro. O che lo stesso buono, valido per un’ora, venga fatto valere in realtà per un periodo più lungo. Per chi viola l’obbligo di comunicazione, il decreto fa scattare a una sanzione che va da un minimo di 400 a un massimo di 2.400 euro. La stretta c’è, dunque. Ma anche nel Pd c’è chi chiedeva e chiede ancora di fare di più.
In particolare di restringere il campo di applicazione dei voucher, che erano nati per pagare solo gli studenti e i pensionati che facevano la vendemmia, in modo da sottrarli al lavoro nero. Ma che nel corso degli anni sono stati estesi praticamente a tutte le attività.
Il secondo motivo del rinvio, quello di merito, ha a che fare proprio con l’agricoltura. Nell’ultima versione del decreto stava per passare una modifica che avrebbe allargato le maglie della tracciabilità in questo settore. Solo per i voucher dell’agricoltura, cioè, l’obbligo di mail o di sms avrebbe avuto dei limiti di tempo più elastici. Una scelta che avrebbe la sua motivazione nel fatto che sui voucher agricoli ci sono anche altri limiti di utilizzo. Ma che si poteva prestare a critiche «da sinistra», per di più nel momento in cui il governo ha appena firmato un protocollo contro il caporalato.
A questo punto torna tutto in alto mare. Compresa la solidarietà espansiva, altra misura contenuta nel decreto rinviato ieri. Di cosa si tratta? È la possibilità di fare ricorso ai contratti di solidarietà, che riducono l’orario di lavoro e il salario, non solo per evitare licenziamenti. Ma anche per procedere a nuove assunzioni. In realtà anche su questo punto c’è stata discussione in Consiglio dei ministri. Ma solo perché la Ragioneria dello Stato ha chiesto indicazioni più precise sui costi degli incentivi fiscali. Non una sorpresa, questa. Ma un classico per ogni provvedimento che pesca risorse dalle casse pubbliche.
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