Marc Lazar: “Troppe paure e individualismi il futuro della Ue è a rischio”
«LA paura è senz’altro il tratto unificante dell’Europa in questo momento. Insieme, come mostrano i dati analizzati da Demos, a un grande senso di ripiegamento che non lascia molta speranza sul futuro del progetto europeo». Marc Lazar, professore di storia e sociologia politica all’Istituto di Studi Politici di Parigi Sciences Po e alla Luiss di Roma, non è particolarmente ottimista. «L’Europa è diventata una sorta di capro espiatorio su cui tutti sparano a zero. E anche se la sua storia è stata fatta anche da questi grandi momenti di crisi, che hanno spinto a trovare nuove soluzioni, ora, con i movimenti populisti scatenati, è sempre più complicato».
Che cosa ha determinato una crisi così profonda?
«Almeno tre elementi. Il primo è naturalmente legato alla complessità della situazione economica e politica che stiamo attraversando. Un altro è dovuto al fatto che i due principali modelli di integrazione europea, quello multiculturale britannico e quello dell’integrazione repubblicana francese, sono chiaramente in crisi. A questo va aggiunta la paura provocata dalla minaccia terroristica.
Se davvero solo il 10 percento dei francesi è favorevole al mantenimento della libera circolazione delle persone, la spiegazione va cercata nel fatto che dopo gli attentati di Parigi i migranti sono associati all’idea che fra loro si insinuano i terroristi».
I dati sembrano mostrarci un’Europa sempre più disgregata anche dal punto di vista generazionale. I giovani sembrano più aperti, mentre la voglia di innalzare barriere cresce con l’età… «Sarebbe interessante conoscere le differenze sociali all’interno delle diverse fasce di età analizzate, a maggior ragione fra i giovani. Mi sembra normale che chi ha un livello di istruzione più alto è più portato a vedere le barriere come un ostacolo.
Mentre chi ha un livello di istruzione inferiore ed è magari in una situazione più difficile vede le cose diversamente. Ha più paura. Ovvio che la cosiddetta generazione Erasmus è potenzialmente più aperta. Per mettere le cose alla pari bisognerebbe inventare una qualche forma di Erasmus anche per chi non ha accesso agli studi universitari. Potrebbe essere un modo per non creare una generazione nella generazione di giovani declassificati, ancor più precari degli altri, che subiscono ingiustizia e forte ineguaglianza. C’è d’altronde un dato che mi colpisce molto proprio fra i giovani…» Quale?
«L’accettazione della sorveglianza generalizzata nei luoghi pubblici. L’85 percento dei giovani fra i 18 e i 24 anni è favorevole. Numero che scende al 23 per cento se invece si tratta di leggere la posta privata, le email senza consenso. Differenza che resta impressionante anche nelle altre fasce di età. Siamo ormai una società sempre più individualista. Nello spazio pubblico la restrizione della libertà è accettata. Nella vita privata, il rispetto della libertà personale resta un valore. Un cambiamento culturale importante, che non credo dipenda solo dall’effetto Snowden».
Quale futuro si prospetta dai dati analizzati?
«L’Europa non può continuare così. Serve una riforma delle istituzioni, oltre alla ripresa economica e alla riduzione delle ineguaglianze sociali, e una nuova narrazione. Per capire dove stiamo andando, decisivo sarà il risultato del referendum britannico. Per scongiurare il peggio servirebbe una grande battaglia culturale. Purtroppo, a fare discorsi coraggiosi è rimasto solo papa Francesco: è lui che ci ricorda l’importanza della dimensione etica dell’Europa. Ma che sia il solo a farlo, dimostra quanto oggi sia debole la politica in Europa».
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