Robert Kagan: “È arrivato il fascismo”

by Federico Rampini, la Repubblica | 30 Maggio 2016 16:10

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NEW YORK. Ci voleva un grande conservatore per osare pronunciare quella parola. Il fascismo in America? A spezzare il tabù è stato Robert Kagan, già consigliere di George W. Bush, “neocon” esperto di geopolitica, autore della celebre metafora su «gli americani che vengono da Marte, gli europei da Venere». In un editoriale-shock sul Washington Post, Kagan ha messo da parte cautele verbali, circonvoluzioni e inibizioni dell’intellighenzia. Il titolo è un pugno allo stomaco: «Ecco come il fascismo arriva in America». Il portatore della peste nera, Kagan non ha dubbi, si chiama Donald Trump. L’intellettuale di destra non risparmia le accuse ai suoi compagni di partito: «Lo sforzo dei repubblicani per trattare Trump come un candidato normale sarebbe ridicolo, se non fosse così pericoloso per la nostra repubblica». Segue una descrizione del ciclone-Trump in tutti i suoi ingredienti: «l’idea che la cultura democratica produce debolezza», «il fascino della forza bruta e del machismo », «le affermazioni incoerenti e contraddittorie ma segnate da ingredienti comuni quali il risentimento e il disprezzo, l’odio e la rabbia verso le minoranze ». Il verdetto finale: «E’ una minaccia per la democrazi », un fenomeno «che alla sua apparizione in altre nazioni e in altre epoche, fu definito fascismo ».
Ora che un guru della destra ha sdoganato contro “The Donald” l’accusa che molti non osavano pronunciare, il New York Times sbatte la controversia in prima pagina. Con il titolo “L’ascesa di Trump e il dibattito sul fascismo”, il quotidiano liberal dà conto di un allarme che sta diventando esplicito. Cita un politico, l’ex governatore del Massachusetts William Weld, che paragona il progetto di Trump per la deportazione di 11 milioni di immigrati alla “notte di cristallo” del 1938 in cui i nazisti si scatenarono nelle violenze contro gli ebrei. Il New
York Times allarga l’orizzonte, per cogliere dietro il fenomeno Trump una tendenza più globale: mette insieme una generazione di leader che vanno da Vladimir Putin al turco Erdogan, dall’ungherese Orban ai suoi emuli in Polonia, più l’ascesa di vari movimenti di estrema destra in Francia, Germania, Grecia.
Nell’élite intellettuale newyorchese tornano di moda due romanzi di fanta-politica. Scritti da due premi Nobel, in epoche diverse, ma con la stessa trama: l’avvento di un autoritarismo nazionalista in America. Il primo è di Sinclair Lews, s’intitola “Qui non è possibile”: affermazione rassicurante, e contraddetta. Scritto e ambientato nel 1935, immagina che Franklin Roosevelt dopo un solo mandato sia sconfitto e sostituito da un fascista. L’altro romanzo è “Il complotto contro l’America” di Philip Roth, molto più recente (2004), immagina che nel 1940 Roosevelt sia battuto dall’aviatore Charles Lindbergh, simpatizzante notorio di Hitler e Mussolini. La grande letteratura aveva previsto ciò che i politologi non vollero prendere in considerazione?
La reticenza che fino a poco tempo fa aveva impedito questo dibattito, ha varie spiegazioni. Al primo posto, la fiducia sulla solidità della più antica tra le liberal-democrazie. Poi, l’America è abituata a considerarsi all’avanguardia, è imbarazzante ammettere che importa tendenze in atto da anni in Europa. L’autocensura che ha trattenuto gli intellettuali nasce anche da un complesso di colpa: la narrazione dominante dice che l’élite pensante ha ignorato per anni le sofferenze di quel ceto medio bianco (declassato, impoverito dalla crisi, “marginalizzato” dalla società multietnica) che oggi vota Trump. Dargli del fascista, può sembrare una scorciatoia per ignorare le cause profonde di un disagio sociale.
Sulle etichette, molti preferiscono sfumature diverse, dalla “democrazia illiberale” ai “populismi autoritari”. L’allarme di Kagan sembra comunque troppo tardivo per arrestare la tendenza dei repubblicani a salire sul carro del vincitore. Newt Gingrich, l’ex presidente della Camera che oggi aspira a fare il vicepresidente di Trump, interpreta l’opinione prevalente dei suoi, quando definisce gli accostamenti col fascismo «ignoranti, offensivi, semplice spazzatura».

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