Rifugiati, Europa in balìa di Ankara

Rifugiati, Europa in balìa di Ankara

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Il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, alza la voce con Ankara, dopo le minacce del 24 maggio di Erdogan su una possibile «denuncia» dell’accordo con la Ue in vigore il 20 marzo, che prevede il rinvio in Turchia dei migranti arrivati sulle isole greche, in cambio di soldi (6 miliardi a termine) e dell’abolizione dei visti per i cittadini turchi che vengono in Europa.

Per Schultz, in un’intervista a Welt am Sonntag, «la minacce non riusciranno a impressionare gli europei, al contrario». Schultz prevede però che se il Parlamento turco non inizia subito a discutere sulle richieste Ue – 72 condizioni da rispettare, tra cui la modifica della legge contro il terrorismo e la protezione dei dati – sarà difficile togliere i visti a ottobre. «Le minacce non sono i migliori strumenti diplomatici», aveva già reagito Jean-Claude Juncker, che ha assicurato, ai margini del G7 in Giappone: «In ogni caso, non avranno effetto».

Angela Merkel, all’origine del controverso accordo con la Turchia, non è «inquieta», ma ammette che «è possibile che certe questioni prendano più tempo ma sul fondo, in ogni caso, rispetteremo gli accordi». Che per ora sembrano aver frenato molto gli arrivi in Grecia (dai dati dell’Ufficio internazionale migrazioni, 3.360 arrivi ad aprile, contro 26.971 a marzo), ma non hanno permesso i rinvii previsti sul suolo turco, il deal di cui l’Europa si vergogna (meno di 400 persone, poi imprigionate nella cittadina portuale di Dikili).

Il nodo dei rifugiati, che paralizza i paesi Ue e ha già prodotto guasti politici importanti e ne minaccia di peggiori, sarà discussa al Consiglio europeo del 28-29 giugno. Sul tavolo ci sarà la proposta italiana di un Migration Compact, un piano in 4 punti per aiutare i paesi di origine e limitare le partenze, anche attraverso Bond specifici di aiuto allo sviluppo. Dalla Germania c’è la proposta di destinare il 10% del budget della Ue, circa 10 miliardi di euro, alla crisi dei rifugiati. Il ministro dello sviluppo Gerd Müller al summit di Istanbul ha affermato che la Ue «non può passare da un vertice all’altro con promesse che poi non manteniamo».

L’idea di Müller è di nominare un commissario che riunisca le competenze sparpagliate tra Dimitris Avramopulos, commissario alle migrazioni, il vice-presidente della Commissione Frans Timmermans, primo interlocutore dell’accordo Ue-Turchia e Mrs. Pesc Federica Mogherini, che guida la lotta ai passeurs. La Commissione ha pensato a un recupero dei fondi strutturali non spesi nel periodo 2007-2013, da destinare all’aiuto ai rifugiati invece di restituirli agli stati membri: è una somma tra i 2 e i 10 miliardi (su un totale dei Fondi strutturali di 430 miliardi), una cifra da precisare a inizio 2017. C’è anche l’idea di inviare qualche centinaio di «lavoratori sociali» europei nei punti di maggiore crisi, per aiutare gli stati in prima linea.

La lista delle tentate azioni Ue sui rifugiati è già lunga: azione contro i passeurs, approvata nell’aprile 2015 e iniziata a settembre, praticamente fallita; promessa di ricollocazione di 120mila rifugiati da Grecia e Italia, realizzata a meno dell’1%; a gennaio sono stati promessi soldi ai paesi del Medio Oriente, ma solo un sesto delle somme stanziate è stato inviato e a marzo c’è stato il controverso accordo con la Turchia, oggi minacciato da Erdogan. In Europa, il mondo politico soccombe. Per 31mila voti, l’Austria ha evitato l’elezione di un presidente di estrema destra il 22 maggio.

Ma le idee estremiste guadagnano terreno.

L’Olanda, fino a luglio presidente a rotazione del Consiglio Ue, difende l’idea tedesca della ricollocazione dei rifugiati, ma per le legislative del 2017 il partito di Geert Wilders è in testa ai sondaggi.

In Finlandia, i Veri Finlandesi sono al governo, in Danimarca l’esecutivo regge solo grazie al sostegno dell’estrema destra.

In Austria, è la politica di chiusura dell’ex premier socialdemocratico Werner Faymann che ha spianato la strada all’Fpö. Per non parlare dell’Ungheria di Viktor Orbán, della Polonia o della Slovacchia (Spd alleato con l’estrema destra), che si sono opposti alla redistribuzione dei rifugiati.

La Francia, a un anno da presidenziali e legislative, vive con la minaccia di un successo del Fronte nazionale (in Germania nei sondaggi l’Afd è al 15%).



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