by Chiara Cruciati, il manifesto | 11 Maggio 2016 9:32
Faisal chiede aiuto per girare il corpo martoriato dai pestaggi di un rifugiato senza vita: «Questa persona è morta mentre attraversava il confine verso la Turchia. Sai com’è morta? Non per una pallottola, ma per le botte». Lui, siriano, si trova da mesi al confine per aiutare chi scappa dalla guerra. Il video[1] pubblicato lunedì da Human Rights Watch è terrificante: si vedono le guardie di frontiera turche picchiare siriani in fuga, si vedono cadaveri, si sentono le voci di chi è sopravvissuto e ora racconta gli abusi subiti prima per strada e poi nelle caserme.
L’organizzazione dà un bilancio degli ultimi due mesi, marzo e aprile: 5 morti (tra cui un bambino) e 14 feriti. Sono i numeri della politica di Ankara per gestire il flusso di rifugiati in fuga dalla guerra civile siriana e di quella dell’Unione Europea che insiste a descrivere la Turchia come un paese sicuro in cui confinare i profughi: ad oggi sono 2,7 milioni i rifugiati siriani in territorio turco, costretti ai margini, tra campi profughi e periferie delle città.
Dall’agosto 2015 le frontiere sono ufficialmente chiuse e chi riesce ad entrare lo fa con l’aiuto di trafficanti di uomini o attraversando illegalmente il confine, a rischio della vita: «Mentre i funzionari turchi dicono di accogliere i rifugiati siriani con confini aperti e braccia aperte, le loro guardie di frontiera li uccidono e li picchiano – spiega Gerry Simpson, ricercatore di Hrw – Sparare a uomini, donne e bambini traumatizzati che scappano da un contesto di guerra è orrendo».
E se con una mano Bruxelles copre i crimini dell’alleato turco, dall’altra le forze della coalizione occidentale anti-Isis realizzano il sogno che il presidente turco Erdogan ha nel cassetto da un po’: una zona cuscinetto al confine con la Siria, ovviamente in territorio siriano, con cui tenere alla larga i rifugiati e allo stesso tempo isolare i kurdi di Rojava dal Kurdistan turco.
Secondo quanto riportato dal quotidiano turco Yeni Safak, l’operazione militare è già partita: l’obiettivo, per ora, è svuotare un’area lunga 18 km e larga 8 nella regione siriana di Jarablus, a nord ovest, zona calda negli ultimi mesi perché target sia del Pyd kurdo-siriano che dei miliziani dello Stato Islamico. Ma è target anche della Turchia che l’ha sempre definita la linea rossa, invalicabile per i kurdi e per le loro ambizioni di autonomia politica. A sostenere l’operazione, aggiunge il quotidiano, saranno Stati Uniti e Germania.
Il nord della Siria resta al momento il cuore dello scontro militare e diplomatico. Aleppo ne è modello e vittima: dopo aver pianto 300 morti in meno di due settimane, da giovedì la seconda città siriana vive nel limbo, tra una tregua rinnovata di due giorni in due giorni e scontri che proseguono in periferia. Lunedì sera, dopo un incontro a Parigi a margine del meeting delle opposizioni e gli “Amici della Siria” (Unione Europea, Gran Bretagna, Germania, Italia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Giordania, Turchia), Stati Uniti e Russia si sono accordati per prolungare di altre 48 ore il cessate il fuoco su Aleppo.
Poche ore dopo l’esercito del governo di Damasco ne dava l’annuncio, spostando la lancetta alle 23.59 di oggi, quando – senza ulteriori accordi – si tornerà a far parlare le armi. È quanto successo lunedì, giorno di violenza tra una cessazione delle ostilità e l’altra: la parte nord della città è stata teatro di scontri mentre le due super potenze ribadivano in Francia l’impegno alla pace. Così Mosca ha fatto sapere che avrebbe minimizzato le azioni aeree per continuare a colpire i gruppi esclusi dalla tregua, al-Nusra e Isis: un’operazione complessa perché gli islamisti – soprattutto i qaedisti – sono concentrati in zone dove sono presenti anche le opposizioni etichettate come legittime.
Nelle stanze della diplomazia mondiale si insiste nel definire la tregua di Aleppo lo strumento per far ripartire il negoziato di Ginevra, sepolto sotto montagne di precondizioni poste da governo, opposizioni e rispettivi sponsor internazionali. Ieri il segretario di Stato Usa Kerry ha annunciato per il 17 maggio un nuovo incontro internazionale a Vienna.
A mostrare più coraggio di tutti gli attori coinvolti è la popolazione civile che tenta di riprendersi Aleppo: nonostante scontri non troppo sporadici, le famiglie che erano fuggite dalla città tentano un faticoso ritorno nelle proprie case, le scuole riaprono insieme ai piccoli esercizi commerciali necessari a mantenere viva una città devastata.
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