Omofobia, legge al palo da tre anni
19 settembre 2013, giorno in cui alla Camera è stato approvato il ddl sull’omofobia, che amplia il catalogo delle discriminazioni punite dalle legge Mancino anche con pene fino a 4 anni. 20 settembre 2013, giorno in cui il testo è stato spedito al Senato. Ieri, 17 maggio 2016, giorno in cui quel testo è ancora lì, in commissione Giustizia, seppellito dalle migliaia di emendamenti che due senatori, Lucio Malan di Fi e il centrista Carlo Giovanardi, gli hanno buttato addosso paralizzandone il cammino.
Antefatto necessario prima di parlare della giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia che cadeva giusto ieri. Come ha ricordato il presidente del Senato Piero Grasso, nel giorno in cui, 26 anni fa, l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, «ha tolto l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali». Il capo dello Stato Sergio Mattarella ha detto parole chiare contro la discriminazione perché «è inaccettabile che l’orientamento sessuale costituisca il pretesto per offese e aggressioni e determini discriminazioni sul lavoro e sulle attività economiche e sociali». Parole importanti che subito ottengono il consenso di Ivan Scalfarotto, primo firmatario della legge alla Camera e di Nichi Vendola. Ma parole che fanno riflettere sullo stop che la legge ha subito al Senato. Felice Casson, vice presidente della commissione Giustizia, è netto: «È semplicemente vergognoso che la legge sia bloccata in commissione da tutto questo tempo. Non c’è nessun mistero su quale ne sia la ragione: è il frutto dell’atteggiamento ostruzionistico e delle migliaia di emendamenti presentati da chi cerca in tutti i modi di opporsi alla legge». Malan e Giovanardi appunto. Protagonisti di un forcing contro il testo della Camera, con interminabili sedute notturne passate a discutere se fosse meglio usare la parola «lesbico» o «saffico». Alla fine, per l’evidente mancanza di una maggioranza sufficiente, il testo è finito “in sonno”. Alla Camera, del resto, era passato tra le polemiche – 228 sì di Pd e Scelta civica, 57 no di Fi e Lega, 108 gli astenuti di M5S – soprattutto per via di un emendamento che escludeva il reato di omofobia «all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto». Formula che ha fatto astenere M5S con dure proteste in aula.
Ora bisogna ripartire da lì, ma la strada è tutta in salita, soprattutto dopo gli scontri sulle unioni civili. La presidente della Camera Laura Boldrini dice che la legge contro l’omofobia «da sola non sarà sufficiente, ma colmerà un vuoto legislativo che pesa». M5S la rimprovera subito, parla di «legge zoppa, caratterizzata da troppi compromessi al ribasso e da timidissimi passi avanti». È sempre il testo che il forzista Malan, ancora ieri, definiva «orrendo perché manderebbe in carcere chiunque dicesse che per un bambino è meglio avere un padre e una madre piuttosto che due padri e due madri».
Ma il presidente del Senato Grasso è pronto a seguire il cammino della legge, considera l’omofobia «frutto di pregiudizi, paura e ignoranza», al punto che «sono gli omofobi ad avere seri problemi e dovrebbero, loro sì, curarsi». Il Pd sembra pronto ad affrontare questa nuova battaglia al Senato dopo le unioni civili. Monica Cirinnà parla di «una legge quantomai urgente che regoli e punisca in modo specifico questo reato, una legge scritta bene, senza equivoci e compromessi». Il presidente del Pd Matteo Orfini ammette che «siamo in ritardo e dobbiamo accelerare, e assumere un’iniziativa politica ». La vice segretaria Deborah Serracchiani plaude al Mattarella «contro la discriminazione». Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi tweetta sotto «stopomofobia». Il deputato Matteo Colaninno chiede di sbloccare il ddl, al momento l’unica cosa necessaria da fare.
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