Il Nobel Yunus “Microcredito ai giovani del Sud per rilanciare l’Italia”

Il Nobel Yunus “Microcredito ai giovani del Sud per rilanciare l’Italia”

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IL FUTURO che vogliamo? «Un mondo dove fame, malnutrizione, povertà siano ridotte a zero». La sua collaborazione col Papa? «Condividiamo l’idea di un nuovo sistema economico che non dimentichi l’aspetto spirituale ». La disoccupazione italiana? «Ho visto al Sud troppi giovani sulle panchine. Eppure le soluzioni ci sono…». Cambiare le cose è possibile? «Sì. Servono visione, ottimismo, volontà». Tre qualità che non mancano a Muhammad Yunus, 75 anni, il “banchiere dei poveri”, premio Nobel per la pace 2006. L’economista bengalese è l’ideatore del microcredito, quel sistema di piccoli prestiti a chi è troppo povero per ottenere i soldi per avviare un’attività dagli istituti tradizionali. Fondatore della Grameen Bank, ne è stato allontanato per contrasti con il governo del Bangladesh e oggi preferisce parlare di Social Business: imprese dove il profitto non è teso all’arricchimento personale ma all’investimento all’interno di una comunità. «Una ricetta eccellente anche per l’Italia…».

L’Italia? Abbiamo bisogno di ricette proprio come i paesi più poveri?

«Ho fatto un viaggio nel vostro sud di recente. Mi ha impressionato il numero di giovani seduti sulle panchine. Mi sono informato: in quelle regioni il tasso di disoccupazione supera il 60 per cento».

Cosa fare per cambiare la situazione?

«Bisogna incoraggiare i giovani. Spronarli a essere creativi. Io indirei un bando: per giovani disoccupati da almeno 5 anni. I più disperati, insomma. Gli farei proporre un progetto capace di dare lavoro anche agli altri. Finanzierei le 5 idee più belle, e via così ogni anno. Perché sono le piccole idee a fare la differenza…».

Yunus era ieri a Roma anche per questo. Insieme ad altri Nobel — l’ex presidente del Costa Rica Oscar Arias Sanchez, l’attivista yemenita Tawakkol Karman, la pacifista irlandese Betty Williams — ha lanciato un’ ”alleanza” speciale. Quella tra Fao e Nobel in favore della pace e della sicurezza alimentare. «Non può esserci l’una senza l’altra» spiega.

In cosa consiste questa alleanza?

«Mettendo insieme le nostre idee lavoreremo per convertire l’impossibile in possibile. Sono convinto che l’essere umano può ottenere tutto ciò che vuole».

Bellissime parole: ma come

metterle in atto?

«Non sono un visionario: so che questa è un’epoca che offre possibilità prima inaudite. Le nuove generazioni hanno un enorme accesso alle tecnologie. Questo li rende più fortunati dei loro padri: devono esserne coscienti e usare questa fortuna. Certo, la tecnologia va orientata: può trasformare tutto ma dipende da cosa le chiediamo. Per questo bisogna puntare sui giovani, finanziare le loro idee, aiutarli a guardare se stessi in maniera diversa: non più cercatori di lavoro ma creatori di lavoro. Li salverebbe dalla disperazione. E dall’estremismo ».

Estremismo di cui il suo stesso paese, il Bangladesh, non è immune…

«Ci sono molti problemi nel mio paese. Ma sono qui per parlare di economia non di politica. Però le dico una cosa: l’estremismo sfrutta la disperazione: chi recluta terroristi è qualcuno che gli offre del cibo e contemporaneamente una pistola. Se noi diamo un futuro a chi è disperato i terroristi troveranno meno seguaci».

L’Europa come dovrebbe affrontare la crisi dei rifugiati?

«I rifugiati sono un’occasione per l’Europa. In fuga dai conflitti c’è un intera società che resterà nei vostri paesi per generazioni. Hanno mestieri, esperienza. Nutrirli e farli vivere di assistenza senza metterli in condizione di badare a se stessi è la scelta sbagliata. Così come alzare muri non fermerà la povertà. Se invece impariamo a utilizzarne il contributo creativo, pace e sviluppo faranno passi avanti».

E allora perché certa politica soffia sul fuoco della paura?

«La paura è una commodity: un prodotto di cui c’è domanda perché c’è offerta. Vende bene: fa prendere voti. Diciamo che gli stranieri ci rubano il lavoro, ci invadono. La gente avrà paura e ci voterà di più. Lo ha capito bene Donald Trump».

Lei ha incontrato più volte il Papa: siete diventati amici?

«Amico è una parola troppo grossa. Mi ha fatto l’onore di chiedere la mia opinione, di leggere i miei appunti e volerli discutere con me. Senza curarsi del fatto che sono musulmano. Condividiamo la stessa volontà di costruire un sistema economico che non dimentichi l’aspetto umano e spirituale. Se mi chiamerà ancora sarò pronto».

Come fa a essere sempre così ottimista?

«L’ottimismo è essenziale: è la forza creativa che ti fa immaginare qualcosa dove non c’è nulla. E questo vuol dire che quando poi ti trovi a dover affrontare le difficoltà, hai già le idee chiare».

 

 



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