Il mega tunnel mai finito? Ci è già costato 150 milioni
Un miliardo, due miliardi… Quanti soldi ci vorranno ancora? E quanto tempo, per vedere la fine? L’hanno cominciata cinquant’anni fa la Grosseto-Fano, strada di congiunzione del Tirreno con l’Adriatico, ed è tuttora una via immaginaria. Manca un pezzo qua e un pezzo là, con tratti a quattro corsie che improvvisamente svaniscono in tortuose e strettissime provinciali. Nessuno sa dire con esattezza quanto denaro abbia già ingoiato. Di sicuro, però, è il paradigma di un sistema capace di regalare all’Italia il primato mondiale delle incompiute, con epicentro in un tunnel lungo sei chilometri: la galleria della Guinza. Il traforo più lungo mai realizzato (e mai completato) per una strada statale che non c’è e invece servirebbe come il pane. Perché da che esiste l’Italia passare da un versante all’altro della penisola, con l’Appennino di mezzo, è sempre stato complicatissimo.
Della Grosseto-Fano si comincia a parlare addirittura dopo la guerra. Padre putativo, Amintore Fanfani, il tracciato passa da casa sua, Arezzo: esattamente come l’autostrada del Sole, che si sta costruendo proprio in quegli anni. Ma le cose non procedono allo stesso modo. L’autostrada viene completata in otto anni, al ritmo di 94 chilometri l’anno. La Grosseto-Fano, al contrario, si arena pressoché subito. Fu il progettista dell’Autosole, Fedele Cova, a spiegare in una intervista al Corriere che cosa stava succedendo in Italia: «Nel 1964, con la fine dell’Autosole, cominciarono gli appetiti, le interferenze. Pretendevano questo e quello, ed era difficile vivere. Fino al 1970, per me, è stata una difesa continua, strenua, da un interminabile assedio». Iniziava così il lento inverno delle opere pubbliche. Sempre più freddo e cupo, come testimonia la storia incredibile di questa galleria.
Corre l’anno 1989 quando l’Anas comincia a scavare quella ferita invisibile nel cuore dell’Appennino. Il progetto del lunghissimo tunnel necessario a superare la barriera montuosa che in quel punto separa l’Umbria dalle Marche lo ha fatto l’allora Provincia di Pesaro, da cui l’azienda pubblica l’ha rilevato. E subito non è difficile capire che già qualcosa non va, a parte la somma stanziata (100 miliardi di lire), non esattamente trascurabile per l’epoca. Intanto non c’è la strada. Dall’Umbria si arriva alla Guinza con un viottolo pieno di curve dove due auto passano a malapena. Sul versante marchigiano, invece, la strada manca del tutto. Inoltre sono previsti tre diversi stralci, e questo non garantisce certo la celerità dell’esecuzione. Ci mettono cinque anni per il foro pilota: sei chilometri, del resto, non sono uno scherzo. Poi nel 1994 tutto si ferma per altri sei anni, in attesa del secondo stralcio. I lavori per allargare il cunicolo riprendono nel 2000, e la galleria è pronta nel 2004: ma è grezza, senza gli impianti. Quelli sono previsti nel terzo stralcio. Che non partirà mai.
Prima di tutto c’è un problemino. Nel 1999, mentre si sta appaltando il secondo stralcio, un camion ha preso fuoco nel tunnel del Monte Bianco e sono morte 39 persone. Lo scalpore è enorme, e subito viene insediata una commissione d’inchiesta tecnica sul disastro, affidata a un mago delle gallerie. È l’ingegnere Pietro Lunardi, che due anni dopo diventerà ministro delle Infrastrutture nel governo di Silvio Berlusconi. Con lui c’è un altro ingegnere, Vincenzo Pozzi, che sovraintenderà ai lavori di rifacimento del tunnel. E che sarà poi messo da Lunardi a capo dell’Anas.
Lunardi e Pozzi: la Guinza non potrebbe essere in mani migliori. Anche perché si tratta di un tunnel a canna unica, identico in tutto al traforo del Monte Bianco, che in base alle nuove norme introdotte dopo la sciagura va adeguato esattamente allo stesso modo. Bisogna realizzare una via di fuga parallela, e allora, già che si deve fare un buco, perché non fare una seconda canna vera e propria? Sembra la soluzione migliore. Ma qui salta fuori il problema più grosso. Perché nel frattempo gli umori della politica sono cambiati. Con la legge obiettivo è stata decretata opera prioritaria il cosiddetto Quadrilatero Marche Umbria, cioè un sistema viario trasversale più a Sud al quale evidentemente in quel momento i politici sono più interessati. Non per nulla nel consiglio di amministrazione della società Quadrilatero siede anche Ercole Incalza, dominus delle grandi opere con Lunardi ministro. Come non bastasse, nell’elenco della legge obiettivo compare anche un’opera ritenuta dagli esperti di parte avversa assolutamente inutile come l’autostrada Orte-Mestre, di cui però è concessionario il futuro europarlamentare udc e quindi pdl Vito Bonsignore. Il che taglia la testa al toro.
A quel punto la Grosseto-Fano esce completamente dall’agenda delle grandi opere. I soldi e le energie dell’Anas vanno al Quadrilatero e la galleria della Guinza finisce nel dimenticatoio: addio seconda canna. Inutili sono le rimostranze dei sindaci, che oltre a manifestazioni di protesta arrivano a organizzare nel tunnel delle polemiche feste di capodanno. L’opera viene completamente abbandonata e accade di tutto. C’è chi organizza nella galleria dei rave party, e nel marzo 2012 deve intervenire la forza pubblica per sgombrarla da una segheria abusiva che era spuntata dal nulla lì dentro.
Finché un bel giorno all’Anas, al cui vertice il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio ha nominato Gianni Vittorio Armani, decidono che si deve fare qualcosa. Per la galleria e le opere accessorie, il tutto fermo da 12 anni, sono stati già spesi non meno di 150 milioni di euro di oggi (c’è chi dice perfino 300): lo scandalo deve cessare. Si riprende così in mano il progetto, concludendo che con una cifra fino a 1,8 miliardi (un terzo delle vecchie stime) la Grosseto-Fano si può finalmente completare. Il piano prevede l’adeguamento alle norme di sicurezza della galleria, che secondo i tecnici dell’azienda pubblica potrebbe essere aperta al traffico anche in un paio d’anni, seppure con le prescrizioni in vigore per il traforo del Monte Bianco: limite di velocità a 50 chilometri orari e distanza fra i veicoli di almeno 200 metri. Però il problema è come arrivarci, alla galleria: perché mancano almeno dieci chilometri di strada in Umbria e una trentina nelle Marche. E con i ritmi italiani. Ma la speranza è l’ultima a morire…
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