by BERNARDO VALLI, la Repubblica | 12 Maggio 2016 8:54
A un anno dalle elezioni presidenziali i progetti dei candidati si moltiplicano nella Francia scontenta. Che ha in programma manifestazioni e scioperi contro la legge sul lavoro, ma più in generale contro l’operato del governo socialista. Per far passare la legge El Khomri, dal nome del ministro del Lavoro, senza ricorrere al voto dell’Assemblea nazionale, il governo compie una manovra considerata una prova di debolezza: pone la fiducia che l’esenta dal voto parlamentare, con il solo rischio che una mozione di sfiducia firmata per reazione da più di cinquanta deputati raccolga poi la maggioranza assoluta dell’Assemblea. Ma i deputati della fronda socialista riluttanti a votare la legge non sono neppure disposti a votare una sfiducia che costringerebbe il governo a dimettersi.
QUANDO è accaduto, nel 1962, benché non ce ne fosse l’obbligo fu sciolto il Parlamento e furono promosse nuove elezioni. È assai improbabile che quell’isolato, unico episodio della Quinta Repubblica, possa ripetersi più di mezzo secolo dopo. Ma non prevale la rassegnazione. Martedì sera dei manifestati, alcuni del movimento di Place de la République, hanno occupato il ponte della Concordia, davanti a Palazzo Borbone, sede dell’Assemblea nazionale, dove ci si preparava a discutere la legge El Khomri. E hanno così bloccato il centro di Parigi, raccogliendo non le proteste ma i consensi di molti passanti e automobilisti, che esprimevano opinioni sia di destra sia di sinistra. La legge è giudicata troppo flessibile sui licenziamenti dai sindacati, e troppo vincolante dalla confindustria. A volte, il governo socialista di Manuel Valls suscita un’unanimità negativa.
In questo clima di scontento generale, benché manchi ancora un anno, la gara presidenziale della primavera 2017 tiene in agitazione la classe politica. Alain Juppé, il candidato ampiamente favorito nelle indagini d’opinione con quasi quaranta per cento dei consensi, si è dato da fare nelle ultime ore per rendere pubblico il suo progetto. Ha tenuto un comizio nel Palazzo dei congressi; ha dato un’intervista al quotidiano economico Les Echos; e da ieri un suo volume campeggia nelle librerie parigine con un titolo ambizioso: “Cinque anni per l’occupazione”. La piena occupazione, ben inteso. Di solito riservato, di poche parole, e avaro di promesse, Juppé non si è risparmiato nell’esternare idee e ambizioni. E l’impegno più importante, suscettibile di attirare suffragi, è quello di combattere la disoccupazione in un Paese in cui, secondo Juppé, 5,7 milioni di cittadini non hanno un impiego a tempo pieno.
Benché altri concorrenti del centro-destra si siano già pronunciati (Nicolas Sarkozy in testa) la fretta del candidato “liberal — riformatore” nel mettere le carte in tavola è rivelatrice. Secondo un luogo comune, la competizione avrebbe inizio il giorno stesso in cui il neoeletto si installa nel Palazzo dell’Eliseo; ma questa volta prevale l’impressione che il presidente in servizio, François Hollande, e il suo partito, quello socialista, siano fuori gioco per la loro impopolarità. Non abbiano alcuna possibilità di competere con successo per un nuovo mandato. Quindi la massima carica della Repubblica sembra a disposizione dei candidati dell’opposizione che si mettono in fila per occuparla. Quest’ultimi, perlomeno quelli del principale partito (“Les républicains”), dovranno affrontare in novembre le primarie. E alla gara partecipano tanti personaggi di rilievo ma il confronto sarà tra Alain Juppé e Nicolas Sarkozy. Quest’ultimo ha l’handicap di essere un ex presidente, e i francesi sarebbero refrattari al recupero di un capo di Stato sconfitto (egli raccoglie circa la metà dei consensi di Juppé), ma ha il vantaggio di essere alla testa del partito (da lui stesso battezzato “Les républicains”) che organizzerà le primarie. Alain Juppé può invece contare sul fatto che le primarie saranno aperte, e che lui, assai più di Sarkozy, attira i francesi favorevoli a un voto centrista ed anche i non pochi elettori socialisti delusi da François Hollande ma non pronti a votare per la “sinistra della sinistra”, in cui si ritrovano movimenti gauchisti e lo stesso partito comunista. Il fenomeno di Emmanuel Macron, attuale ministro dell’economia, è indicativo. Il giovane uomo politico è un personaggio popolare da quando fa di tutto per non apparire un esponente della sinistra, pur appartenendo a un governo socialista.
Alain Juppé ha settant’anni ed è un veterano della politica francese. È stato un ministro degli esteri stimato e un primo ministro impopolare, durante la presidenza di Jacques Chirac. Un tribunale lo sospese dai pubblici uffici quando usò per il partito del personale pagato dal Municipio di Parigi dove lavorava. In seguito alla sentenza si è esiliato in Canada dove ha insegnato in un’università. È ritornato ad essere il rispettato sindaco di Bordeaux e grazie alla sua riservatezza è diventato popolare sul piano nazionale. Dai sondaggi risulta che la maggioranza dei giovani lo rispetta e lo giudica capace di guidare il Paese dal palazzo dell’Eliseo. Il suo è il programma di un liberista. Riduzione della spesa attraverso lo sfoltimento del personale della amministrazione pubblica ( 250 — 300 mila funzionari in meno) e il simultaneo aumento delle ore di lavoro. Abolizione della legge sulle 35 ore, e giornata lavorativa di 39 ore, salvo accordi aziendali. Aumento progressivo a 65 anni (oggi è a 62) dell’età legale per le pensioni. Diminuzione degli oneri sociali per le imprese. Ma aumento dell’Iva. Abolizione della patrimoniale. Ma niente ribasso delle imposte sul reddito. Rilancio attraverso l’offerta e non del potere d’acquisto.
Alain Juppé è un europeista. È per l’euro e per l’Unione Europea. Ed è pronto a battersi per difenderli. Grazie all’Europa la Francia può contare nel mondo. L’ Europa deve però riformarsi, armonizzare i sistemi fiscali, rendere coerenti i sistemi sociali, ed essere politica e diplomatica.
Se le indagini d’opinione indicano già, scavalcando le primarie, i candidati alle elezioni presidenziali nella primavera del 2017, Alain Juppé figura in testa seguito da Marine Le Pen, presidente del Front National. Restano tante incognite. Quella ad esempio di François Hollande al quale spetta di decidere se partecipare o meno alla gara, come hanno fatto i suoi predecessori con alterna fortuna. Se i sondaggi attuali (16-18% dei consensi) lo accompagneranno fino all’anno prossimo, egli si dovrebbe trovare in terza o quarta posizione. Escluso dal ballottaggio. A meno che il suo partito non scelga un altro candidato. Nel voto decisivo si dovrebbero affrontare Alain Juppé, il campione di centro — destra, confortato anche dagli elettori lontani dalle sue idee ma decisi a sbarrare la strada all’estrema destra, e Marine Le Pen, campione populista.
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