I grandi numeri dell’accoglienza. Tra problemi e solidarietà

I grandi numeri dell’accoglienza. Tra problemi e solidarietà

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Forse l’Europa dovrebbe gettare uno sguardo da queste parti prima di continuare a lamentarsi per i troppi rifugiati che vogliono raggiungerla. Con poco più di 4 milioni di abitanti, il Libano ospita da anni 1,2 milioni di profughi siriani e 600.000 palestinesi rifugiati storici che vivono da decenni nel Paese dei cedri. Eppure Beirut accoglie in silenzio, e per ora senza protestare, questa enorme massa di disperati. Una cifra molto superiore al milione di profughi arrivati nel 2015 nell’Unione europea con in suoi 530 milioni di abitanti, riuscendo in pochi mesi a metterla in crisi.

Un’accoglienza, quella libanese, non senza problemi e contraddizioni. Il governo ha scelto infatti di non allestire campi per i siriani in fuga, lasciando che si distribuissero sul territorio in una sorta di autogestione controllata. Una scelta presa per evitare la formazione di nuovi ghetti, ma anche perché Beirut non vuole dare continuità alla presenza siriana nel timore di vedere ripetersi quanto accaduto con i palestinesi e perché teme che un massiccio arrivo di siriani sunniti possa mettere in pericolo il fragile equilibrio politico del Paese (proprio questo sarebbe stato il motivo che a luglio dell’anno scorso ha portato allo sgombero di 41 insediamenti nei pressi del confine con la Siria).

Il risultato è che i rifugiati vivono in piccoli agglomerati di baracche costruite su terreni affittati a proprietari libanesi o sauditi che pagano lavorando nei campi. Nelle serre grigie che si cominciano a vedere a partire dal confine siriano, insieme agli immigrati lavorano tanti siriani, specialmente donne, e spesso sottopagati.

L’alternativa alle baraccopoli sono gli appartamenti. Case spesso non finite sono state prese in affitto da intere famiglie siriane (spesso vivono fino a dodici persone per appartamento) molte delle quali anche in questo caso pagano quanto dovuto con il lavoro, magari portando a termine la costruzione delle palazzine in cui alloggiano. In qualche modo, i rifugiati siriani aiutano l’economia libanese.

Non mancano però anche importanti segnali di solidarietà. Per provare a rimediare alla difficoltà con cui molti bambini rifugiati riescono ad andare a scuola, gli istituti pubblici applicano il doppio turno, aprendo al mattino per i bambini libanesi mentre nel pomeriggio a sedere sui banchi sono i piccoli siriani. I costi di questa iniziativa sono a carico dell’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, e di altre organismi Onu che pagano anche gli straordinari degli insegnanti.

Il reperimento dei finanziamenti necessari alla sopravvivenza dei rifugiati rappresenta naturalmente un ulteriore problema. Estremamente generosa nei confronti della Turchia, per la quale ha stanziato 6 miliardi di euro per fermare migranti e richiedenti asilo, l’Unione europea non lo è altrettanto con il Libano. Il 16 aprile scorso Francoise Hollande, a Beirut nel corso di un viaggio in Medio oriente, ha promesso al Libano 100 milioni di euro per fronteggiare la crisi dei migranti, insieme ad aiuti «per rafforzare la capacità militare del Paese» di fronte alle minacce dell’Isis. Poca cosa. L’Unhcr – che sostiene la maggior parte delle spese di mantenimento dei profughi – ha calcolato in 1 miliardo 759 milioni di dollari la cifra necessaria nel 2016 per i rifugiati siriani in Libano, ma finora è riuscita a raccogliere dai paesi donatori meno di 90 milioni di dollari, appena il 5%.

Uno degli effetti della mancanza di risorse è una difficoltà anche nel garantire una sufficiente alimentazione ai profughi. Secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati nel 2015 le condizioni sono pesantemente peggiorate rispetto all’anno precedente. Per un profugo siriano l’incertezza di poter avere un pasto sicuro è raddoppiata, passando dal 12% al 23% e riguarda da vicino un quarto delle famiglie siriane.



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