Il G7 promette bene e poi investe sul carbone

Il G7 promette bene e poi investe sul carbone

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La polvere sotto il tappeto: la mettono i Paesi del G7 quando promettono di ridurre il consumo di carbone e poi si viene a scoprire che, al contrario, stanno investendo massicciamente su nuove centrali: in pole position il Giappone, la Germania, gli Usa, ma anche l’Italia di recente si è distinta per il finanziamento a un nuovo impianto in Centro America. A sollevare il tappeto per portare allo scoperto la spazzatura, in vista del G7 giapponese del 26 e 27 maggio, è il rapporto di alcune associazioni ambientaliste: si intitola Swept Under the Rug: How G7 Nations Conceal Public Financing for Coal Around the World, ed è stato redatto dal Natural Resources Defense Council (Nrdc), dal Wwf e da Oil Change International.

Ciaone a Cop21, potremmo dire con un termine molto in voga presso l’élite politica nostrana, visto che gli impegni solennemente sottoscritti nell’Accordo di Parigi, in conclusione della conferenza mondiale sul clima di fine 2015, vengono sfacciatamente disattesi. L’intesa è stata ratificata poche settimane fa, a New York: hanno firmato 175 paesi, ricorda il Wwf Italia, dandosi l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5 gradi centigradi per evitare una catastrofe climatica.

I paesi del G7, Giappone e Germania in primis, continuano al contrario a finanziare massicciamente le centrali a carbone e l’estrazione all’estero. L’Italia, denuncia il Wwf, ha incredibilmente aumentato i propri crediti alle esportazioni nel 2015, garantendo attraverso il Sace (società di Cassa depositi e prestiti) un prestito per la centrale a carbone di Punta Catalina in Repubblica Dominicana.

Tra le nazioni del G7, il Giappone si classifica come la peggiore, con finanziamenti pari a più di 22 miliardi di dollari per impianti a carbone all’estero nel periodo 2007-2015, e con l’annunciata intenzione di investire altri 10 miliardi di dollari in progetti futuri. Seguono la Germania con finanziamenti pari a 9 miliardi di dollari, gli Stati Uniti con circa 5 miliardi, la Francia con 2,5 miliardi di dollari, l’Italia con 2 miliardi di dollari, il Regno Unito con 1 miliardo e il Canada con meno di 1 miliardo.

«Le emissioni delle centrali elettriche a carbone finanziate dai paesi del G7 dal 2007 al 2015 raggiungono un totale di 101 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, provocando danni all’atmosfera, al clima e alla salute della popolazione mondiale», avverte il rapporto. Secondo il Wwf, il finanziamento di nuove centrali a carbone nell’era dei cambiamenti climatici lega i paesi in via di sviluppo ai carburanti fossili, che rappresentano il passato, invece che all’energia pulita, che rappresenta il futuro.

Ecco i dati da ricordare mentre si chiede una inversione di tendenza: dal 2007 al 2015 i paesi del G7 hanno fornito più di 42 miliardi di dollari in forma di finanziamenti diretti, garanzie, assistenza tecnica e aiuti per centrali a carbone, estrazione e progetti correlati. Nel solo 2015, gli stessi paesi hanno messo a disposizione 2,5 miliardi di dollari per la finanza del carbone, nonostante i nuovi impegni assunti per limitare i crediti all’export. Insieme ai privati, sotto accusa sono anche le banche e il settore pubblico.

L’Italia non fa eccezione: secondo il dati del Wwf, nel 2015 ha aumentato, non diminuito, il finanziamento del carbone. Risale proprio alla seconda metà dell’anno scorso la garanzia per il finanziamento, pari a 632 milioni di dollari, da parte dell’agenzia italiana di credito alle esportazioni Sace, per un impianto a carbone nella Repubblica Dominicana. «I paesi del G7 e le istituzioni multilaterali dovrebbero fermare immediatamente i progetti di finanziamento di fonti di energia sporca e incoraggiare gli investimenti in energia pulita e rinnovabile», dice il Wwf.

Secondo il rapporto i risultati potrebbero rappresentare una sottostima delle reali dimensioni della finanza del carbone internazionale: «Attualmente – spiega – i finanziamenti viaggiano attraverso canali opachi e poco chiari come istituti di credito all’export, che tengono nascosto il sostegno allo sviluppo dei combustibili fossili. Un meccanismo che favorisce ingiustamente l’uso del carbone a discapito delle fonti pulite e impedisce la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Tenuto conto dei gravi rischi climatici e degli impatti sulla salute, è giunto il momento di porre fine a tali finanziamenti».

Per tutte queste ragioni Nrdc, Oil Change International e WWf chiedono «la divulgazione dei dati relativi al finanziamento pubblico per il carbone e la destinazione del denaro pubblico verso progetti di energia pulita come l’eolico e il solare».



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