I diritti nel cassonetto

by Antonio Sciotto, il manifesto | 31 Maggio 2016 9:28

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Cassonetti colmi e strade sporche. Non è che in genere, in Italia – specie in alcune città – lo spettacolo sia troppo differente, ma ieri il problema si è notato di più: perché i lavoratori dell’igiene ambientale hanno scioperato per il rinnovo del contratto. Adesioni all’85-90% dichiarano i sindacati Fp Cgil, Fit Cisl, UilTrasporti e Fiadel, mentre Utilitalia – l’associazione che riunisce le aziende di parte datoriale – per il momento non intende cedere. Sono soprattutto soggetti pubblici o partecipate, come i colossi del Nord – multiservizi: A2A, Hera, Iren – e la romana Ama. Hashtag della protesta: #Contrattosubito.

Il contratto non si rinnova ormai da 28 mesi: sicuramente meno dei sette anni dei lavoratori del pubblico impiego, ma molti se si pensa che gli addetti alla nettezza urbana sono sempre meno e con carichi di lavoro che anno per anno sono cresciuti. «La raccolta differenziata è un bene per i cittadini – spiega Massimo Cenciotti, responsabile Fp Cgil Igiene ambientale – Ma per il fatto che le imprese non investono, le innovazioni richieste dal sistema si caricano tutte sulle spalle, sulla fatica e sulla salute degli operai».

L’innovazione consiste nel sempre più diffuso meccanismo della raccolta porta a porta, che fa via via sparire i cassonetti grandi e fa “specializzare” le famiglie e i condomini in una migliore selezione del rifiuto. Questo vuol dire però che invece che affidarsi ai macchinari che sollevano il cassone e lo svuotano nel camion, i netturbini devono volta per volta scendere, prendere i sacchi depositati davanti ai portoni, risalire e ripartire.

Cambiano modi e tempi, insomma: «Se prima scaricando un grosso cassonetto con due addetti a bordo tiravi via 3200 litri di rifiuti, oggi per lo stesso quantitativo devi impiegare quattro persone e 10 volte il tempo. Consideriamo poi che il 15-20% del personale è inidoneo per motivi di salute», spiega il sindacalista della Cgil.

Il sindacato è ovviamente più che a favore della raccolta differenziata, ma al tavolo ha chiesto di tenere conto degli aumentati carichi lavorativi: dando disponibilità anche a un ampliamento degli orari di raccolta senza rincarare le tariffe, per venire incontro alle richieste dei cittadini, e a un ridimensionamento dei permessi sindacali. Tema, quello delle agibilità del sindacato, su cui Utilitalia ha appoggiato il suo no alle richieste dei lavoratori, bollandoli come «privilegiati». «Ma se il settore fattura 11 miliardi l’anno, il costo del lavoro è di 3 miliardi e i permessi costano solo 1 milione, di cosa stiamo parlando? Si tratta di pretesti», replicano dalla Fp Cgil.

Le tre aziende che si sono messe di traverso per il rinnovo sono soprattutto quelle del Nord, dei veri e propri colossi multiservizi (oltre ai rifiuti erogano anche luce e gas): «Sono sempre più interessate alla finanza, e sui territori mettono a lavorare personale in appalto, che spesso da un cambio all’altro si perde per strada», spiega Cenciotti della Cgil.

Il sindacato fa l’esempio della provincia di Ravenna, «dove abbiamo trovato 450 lavoratori divisi in 40 società, con 13 diversi tipi di contratto». Proprio quello della frammentazione contrattuale è uno dei problemi più grossi: vengono applicati i modelli della cooperazione sociale, dell’agricoltura, dell’edilizia, e in più – disapplicando le clausole sociali – di appalto in appalto il personale si assottiglia. Chi viene riassunto, inoltre, perde il diritto all’articolo 18 in forza del Jobs Act: e così troviamo tanti 50-60enni a tutele crescenti.

Sono 33 i milioni annui di rifiuti raccolti in Italia (a Roma 1,6 milioni), circa 100 mila gli addetti, con i tre colossi multiservizi del Nord (A2A, Hera, Iren) che da soli fatturano circa 17 miliardi, e la romana Ama che con i suoi 800 milioni di fatturato annui è la maggiore azienda di sola igiene ambientale.

«Forse le imprese – protestano i sindacati – dimenticano che chiedono sempre più soldi ai cittadini per raccogliere e smaltire rifiuti, mentre se ne producono sempre meno. Dal 2010 al 2015 la tassa è aumentata del 55%, per importo dovuto cresciuto di quasi 3 miliardi di euro: nello stesso periodo la produzione di rifiuti è calata dell’11% e le retribuzioni sono cresciute solo del 5%».

Un nuovo sciopero è in cantiere per il 15 giugno, se non arriverà prima una convocazione, mentre la categoria è pronta a calendarizzarne di nuovi anche a luglio. Con il caldo che ci sarà, tutti ci auguriamo che la questione si risolva prima.

 

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