Immigrati, stop a tassa sul permesso
Il balzello sugli immigrati resterà solo un brutto ricordo. Dopo la sentenza della Corte di giustizia europea del settembre scorso, è finalmente arrivata quella del Tar del Lazio. Su ricorso della Cgil e del suo patronato Inca, i giudici amministrativi hanno stabilito che è illegittima la legge che impone di pagare una tassa ulteriore fra gli 80 e i 200 euro ai cittadini extracomunitari che chiedono il rilascio, o il rinnovo, di un permesso di soggiorno.
Ad essere bocciato dal tribunale amministrativo è stato il decreto 304 del 31 dicembre 2011 (governo Monti), entrato in vigore il primo gennaio 2012, e mai messo in discussione dai governi di Enrico Letta e Matteo Renzi. L’idea originaria di tassare ulteriormente gli immigrati era invece dell’ultimo governo Berlusconi: nell’ottobre 2011 il decreto fu firmato dai ministri Giulio Tremonti e Roberto Maroni, stabilendo un balzello aggiuntivo da 80 a 200 euro al costo base, a seconda della lunghezza del permesso di soggiorno. In pratica 80 euro di tassa per i permessi fino a dodici mesi, 100 euro per una durata fino a 24 mesi, 200 euro per il lungo periodo.
Peraltro la tassa si sommava alle altre spese che i cittadini extracomunitari devono sostenere per ottenere il documento. Il contribuito si aggiungeva agli oneri del costo del permesso (30,46 euro per un permesso di oltre 90 giorni), alla marca da bollo (16 euro), alle spese postali da pagare al momento della spedizione dell’assicurata contenente la domanda (30 euro). In totale quasi 80 euro, che continueranno ad essere pagati dagli immigrati. Senza però ulteriori sovrapprezzi.
Appena una settimana fa, Cgil e Inca avevano denunciato l’inerzia del governo Renzi sull’argomento. Nell’occasione Morena Piccinini (presidente Inca), Danesh Kurosh (Dipartimento Immigrazione Cgil) e Luca Santini (consulente legale Inca) avevano dato conto delle azioni legali già intraprese – circa 40mila istanze raccolte al patronato, alle Camere del lavoro e gli uffici immigrazione – per chiedere il rimborso di quanto versato dal 2012 ad oggi. Ora l’Inca stima che circa un milione di immigrati possa chiedere il rimborso: “Non ci sono più alibi. Il governo ritiri il provvedimento, e predisponga la procedura per restituire i soldi a chi ha pagato”.
Sul piano giuridico, Il Tar ha preso atto della pronuncia della Corte europea, procedendo “alla disapplicazione della normativa nazionale che impone ai cittadini di paesi terzi, che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato, di pagare un contributo di importo variabile tra 80 e 200 Euro, per contrasto con la normativa di fonte comunitaria”.
La Corte di giustizia europea all’epoca ricordava che “l’obiettivo principale della direttiva Ue sullo status dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo è l’integrazione”. E, sebbene gli Stati membri abbiano un margine discrezionale per fissare l’importo dei contributi, “tale potere discrezionale non è illimitato”.
A questo riguardo, la Corte aveva già sentenziato nel 2012 su una causa fra Commissione e Olanda, segnalando che uno Stato Ue rispetta la direttiva “solo se gli importi dei contributi non si attestano su cifre macroscopicamente elevate e quindi sproporzionate rispetto all’importo dovuto dai cittadini di quello stato per ottenere un titolo analogo, ad esempio la carta nazionale d’identità”. Per la cronaca, l’Olanda prevedeva un importo pari a circa sette volte l’importo richiesto per la carta di identità. Un documento che in Italia costa oggi 10 euro.
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