Bayer-Monsanto, la fusione moltiplica i pericoli
Dopo settimane di speculazioni e voci non confermate, la scorsa settimana la Bayer, colosso chimico e farmaceutico tedesco, e la Monsanto, multinazionale statunitense, hanno confermato che sono in corso trattative per una possibile fusione, che porterebbe alla nascita di un player globale nel settore dei pesticidi, delle sementi e degli OGM.
Al momento nessuno può sapere se questa fusione andrà in porto, ma considerando il valore di mercato della Monsanto, stimato in circa 37 miliardi di euro, sarebbe addirittura più grande della recente acquisizione della svizzera Syngenta da parte della ChemChina.
Questa fusione creerebbe un nuovo gigante nel settore delle sementi e dei pesticidi. Monsanto è un importante produttore di sementi ed erbicidi e una delle società leader a livello mondiale delle biotecnologie. Della multinazionale statunitense si sta discutendo molto in Europa negli ultimi mesi anche riguardo al glifosato, un erbicida ad ampio spettro che l’azienda commercializza con il nome di Roundup, e dopo una valutazione dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) sospettato di provocare il cancro negli esseri umani, oltre che rappresentare un rischio grave per la biodiversità. I recenti dati dell’Ispra sui residui di pesticidi nelle acque italiane, ci indicano che una delle sostanze rilevate maggiormente e che più spesso supera il livello di qualità ambientale è appunto il glifosato, insieme al suo prodotto di decadimento, l’Ampa.
Ma il glifosato non viene trovato “solo” nei nostri fiumi e laghi. Una recente analisi di 14 marche di birre tedesche ha rilevato che tutte contenevano tracce del diserbante, e lo stesso rivela uno studio di Greenpeace Germania sul vino. I ricercatori dell’associazione hanno analizzato 14 campioni – 9 di vino e 5 di succo d’uva – di cui 11 provenienti da agricoltura convenzionale e 3 da quella biologica rilevando che tutti i prodotti bio non contenevano residui di glifosato, mentre il 64% di quelli convenzionali sì.
Nelle scorse settimane 48 europarlamentari di 13 Paesi europei si sono sottoposti volontariamente al test delle urine, e in tutti i campioni è stata riscontrata una concentrazione di glifosato fra 0,17 e 3,57 microgrammi per litro, senza grandi distinzioni per sesso o provenienza geografica. Una presenza che evidenzia come l’intera Europa sia potenzialmente contaminata da questa sostanza.
Una fusione fra Bayer e Monsanto porterebbe a un’ulteriore concentrazione del settore, nella direzione di una sorta di oligopolio, dove solo una manciata di aziende decidono il futuro del nostro cibo.
In termini di mercato dei pesticidi, la Bayer già possiede una quota del 17 % del mercato globale, alla quale si aggiungerebbe un ulteriore 7 % della Monsanto, arrivando a un quarto dell’intero settore. Per la produzione di sementi il colosso Bayer-Monsanto coprirebbe quasi il 30 % del settore a livello globale.
Entrambe le società sono già attori importanti del mercato legato agli OGM (e relativi brevetti), con colture biotech modificate in modo da essere resistenti agli erbicidi. Una situazione già oggi preoccupante, ma che potrebbe peggiorare ulteriormente.
Tra l’altro con una possibile fusione Bayer-Monsanto, il “portafoglio” di entrambe le aziende si adatterebbe “perfettamente” in quanto Bayer è leader per i pesticidi, mentre Monsanto per la produzioni di semi e OGM.
Un tale modello di business aumenterebbe il potere politico di queste mega aziende e darebbe loro il controllo non solo della nostra agricoltura, ma della nostra intera dieta. Un problema che riguarderebbe quindi sia consumatori che agricoltori.
Un sistema così organizzato implica che i produttori a livello globale di sementi e pesticidi non hanno alcun interesse a sviluppare soluzioni sostenibili o varietà colturali più resistenti, ma l’esatto contrario: a queste aziende rende molto di più avere varietà più deboli che comporta un maggiore ricorso ai pesticidi e quindi all’aumento delle relative vendite.
Lo scenario che si prospetta porterebbe anche a un’ulteriore riduzione di scelta, per varietà e prodotti, a disposizione degli agricoltori, non solo nei Paesi Sviluppati, ma anche in quelli in via di sviluppo.
L’esperienza ci mostra che una maggiore concentrazione porta a: focalizzarsi e sviluppare solo poche colture e varietà (dimenticando l’importanza di sviluppare varietà diverse in grado di adattarsi a livello locale); un probabile aumento del costo delle sementi; una maggiore pressione sugli agricoltori.
Non dimentichiamo, inoltre, pensando al TTIP o al CETA, che già oggi, ogni azienda esercita, individualmente, una forte influenza sulle politiche relative a pesticidi o OGM negli Stati Uniti e in Europa, una loro fusione formerebbe un nuovo leader del mercato di pesticidi e OGM che avrebbe un potere ancora maggiore su entrambi i lati dell’Atlantico.
*Responsabile campagna Agricoltura Sostenibile di Greenpeace Italia
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