Hofer, il volto gentile e xenofobo
Malgrado alcuni media europei non abbiano esitato a presentarlo come il «volto gentile della destra xenofoba», Norbert Hofer non ha mai davvero rinunciato a toccare le corde anche più delicate, compresi i riferimenti nostalgici, che hanno fatto nell’ultimo mezzo secolo la fortuna del suo Freiheitlichen Partei Österreichs, Fpö. Al punto che il candidato ultranazionalista, partito come outsider e giunto fin sulla soglia del palazzo dell’Hofburg di Vienna, battuto infine di misura per qualche decina di migliaia di voti, sembra incarnare fino in fondo il profilo sinistro di quella che tra le nuove destre europee è per certi versi la formazione che continua a pagare il debito più vistoso con il passato.
Le ragioni del successo di questo partito, che pur sconfitto fa registrare in questa elezione il suo record da sempre di consensi, sono ovviamente tutte attuali – un inquietante voto “di classe” lo si potrebbe definire, con punte superiori al 70% tra operai e lavoratori non qualificati -, ma sembrano inscriversi in un contesto culturale di lunga durata.
Lo ha rivelato del resto lo stesso Hofer che dopo aver espresso alla vigilia del primo turno la propria sfiducia nei confronti della tenuta dei confini esterni dell’area Schengen, al pari della convinzione che l’Islam fosse estraneo alla cultura austriaca, in vista del ballottaggio ha pensato bene di esibire una spilla a forma di fiordaliso all’occhiello della giacca. Un simbolo che evoca un passato tutt’altro che innocente: era infatti utilizzato come segno di riconoscimento dagli aderenti ai movimenti pangermanisti e antisemiti che sostennero l’ascesa al potere del nazionalsocialismo. Il tutto in un paese che ha spesso evitato di fare i conti con il proprio passato nazista e che solo nel 1986 elesse alla presidenza Kurt Waldheim, candidato dai popolari, malgrado le tante ombre emerse sul suo passato di ufficiale della Wehrmacht tra la Grecia e i Balcani.
Di questa cattiva coscienza del paese, denunciata per tanto tempo da Thomas Bernhard, l’Fpö è stato a lungo il fantasma più inquietante. Nato negli anni Cinquanta da quell’Unione degli Indipendenti che aveva raccolto i consensi e una parte del personale politico degli ex nazisti, ancora nelle elezioni presidenziali del 1986, i liberalnazionali candidavano Otto Scrinzi, ex docente dell’Istituto di biologia delle razze di Innsbruck ed ex Sturmführer, comandante delle squadre d’assalto delle Sa hitleriane.
Proprio la vecchia guardia nostalgica aveva scelto alla fine degli anni Ottanta di affidare le redini del partito ad un giovane, classe 1950, il governatore della Carinzia, Jörg Haider, la cui famiglia si era arricchita durante la guerra mondiale grazie alle leggi di “arianizzazione” che avevano costretto gli ebrei a svendere le loro proprietà. Prima di schiantarsi nel 2008 con la sua berlina di lusso alle porte di Klagenfurt, Haider riuscirà, alla fine degli anni Novanta, a trasformare il partito nella seconda forza politica del paese e a concludere un accordo di governo con i popolari che sarebbe durato fino al 2002. Lo stesso Haider, celebre per aver lodato la politica sociale del Terzo Reich, avrebbe lasciato i liberalnazionali nel 2005, accusando il suo delfino Heinz-Christian Strache, di sostenere una linea troppo radicale.
In realtà, se Haider era stato l’interprete di ciò che i politoligi definiranno come “micronazionalismo alpino”, sostenendo le tesi di una ritrovata identità austriaca, Strache, un odontotecnico viennese con un passato nelle confraternite studentesche pangermaniche, è stato l’inventore della formula del “Die soziale Heimatpartei” più o meno letteralmente il partito patriottico-sociale o nazional-sociale con cui l’Fpö è tornata a mietere consensi dopo una fase di appannamento.
Mentre i nuovi nemici diventavano i musulmani piuttosto che gli immigrati tout court, e la politica di Bruxelles piuttosto che l’Euro, ancora nelle precedenti elezioni presidenziali, quelle del 2010, l’Fpö aveva pensato bene di candidare Barbara Rosenkranz, una vita nella destra ultranazionalista ai confini con il neonazismo, nota per essere contraria alle leggi contro l’apologia dell’epoca hitleriana ma anche per i suoi dieci figli: «ognuno con il nome di un dio germanico».
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