Almaviva, gli ultimi 25 giorni per scongiurare 3 mila licenziamenti

Almaviva, gli ultimi 25 giorni per scongiurare 3 mila licenziamenti

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Il conto alla rovescia è già partito venerdì scorso, e oggi mancano solo 25 giorni al 4 giugno, data in cui Almaviva – in caso che non si sia raggiunto un accordo con i sindacati – potrà inviare le lettere di licenziamento a 2988 dipendenti. Ieri Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom hanno inviato una lettera ai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo per chiedere la convocazione di un incontro urgente, e anche dal fronte dell’azienda si attende una mossa del governo. Il punto di caduta si è registrato giovedì con la bocciatura della mediazione proposta dalla viceministra Teresa Bellanova: 5 mila no su 5815 votanti (solo 526 sì, 17 voti non validi, 22 schede bianche e 250 astenuti).

Le trattative a questo punto appaiono più difficili. Tenta di interpretare il netto no dei lavoratori Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil: «Un sacrificio anche oneroso, per essere accettato, bisogna che abbia una corrispondenza con delle prospettive plausibili – dice – Per lavoratori che sono quasi tutti part time e con stipendi di 600-700 euro al mese, dover rinunciare al 25% della retribuzione vuol dire scendere a soglie inaccettabili».

La decurtazione sarebbe il frutto di un programma di solidarietà al 45% per sei mesi, così come era stato previsto nella proposta governativa per le sedi di Palermo e Roma (rispettivamente 1670 e 918 esuberi). Per Napoli (400 esuberi) la cifra, comunque alta, si riduceva al 35%, mentre per i siti di Milano, Catania e Rende – le più produttive e non toccate dai previsti licenziamenti – le percentuali sarebbero scese rispettivamente fino al 13%, al 7% e al 3%.

«Sacrifici troppo pesanti a fronte di prospettive incerte, da qui la bocciatura – spiega Azzola – Come sindacati non abbiamo firmato il verbale che conteneva quella proposta, e avevamo anticipato ad azienda e governo che i lavoratori l’avrebbero respinta. L’esecutivo ha purtroppo fatto sua la scelta aziendale di concentrare tutta la solidarietà nelle sedi dove sono stati individuati gli esuberi, e così è sembrato che si volesse solo acquistare tempo per rinviare di sei mesi una decisione già presa».

La soluzione, a questo punto, secondo la Cgil si potrebbe trovare «innanzitutto individuando ammortizzatori diversi, più lunghi e meno onerosi per i lavoratori rispetto alla cassa in deroga». E intervenendo realmente sugli elementi distorsivi del mercato: «Far applicare subito la 24 bis contro le delocalizzazioni, e non solo annunciare un possibile emendamento come ha fatto il governo. Stabilire standard di qualità minimi per i servizi telefonici, fare in modo che i grossi gruppi che operano in mercati regolati possano appaltare solo ad aziende strutturate e che rispettano i contratti. Agire contro le distorsioni dovute a un uso improprio della decontribuzione per le assunzioni».

La revoca dei licenziamenti, che pure era contenuta nella proposta, evidentemente non è bastata a convincere chi ha votato. «La proposta sindacale di fare ulteriore ricorso all’ammortizzatore sociale era stata accolta dall’azienda, durante il confronto con governo e parti sociali, e inserita in un’ipotesi di accordo pienamente coerente con le linee guida definite dal ministero dello Sviluppo economico», spiegano da Almaviva. «Nel quadro di una possibile intesa – ha spiegato l’ad di Almaviva Contact Andrea Antonelli – avevamo ufficialmente confermato, assumendo un onere aggiuntivo estremamente rilevante, che nessuna delle soluzioni indicate per il nuovo contratto di solidarietà avrebbe comportato alcuna forma di peggioramento della posizione reddituale di ogni singolo lavoratore, rispetto a quanto previsto dall’accordo attualmente in vigore». In sostanza,

Almavaviva aveva garantito che in nessun caso la retribuzione di ogni lavoratore sottoposto alla solidarietà scendesse sotto la soglia che assicura il bonus “renziano” di 80 euro.
La palla a questo punto passa al governo. Se non si trovasse una soluzione per il caso Almaviva, non ci sarebbe solo un danno per i 3 mila licenziati, come è evidente. Ma si sancirebbe di fatto che lo standard dei call center italiani segue le regole del massimo ribasso, e si spingerebbero sempre di più gli operatori a delocalizzare, quando possibile.



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